Una corretta informazione sulla salute passa anche per il web. Per compensare l'effetto "Dottor Google" e aiutarci a riconoscere ed evitare le fake news
Problemi di salute? Ormai la prima cosa che facciamo è "googlare"!
È passato del tempo (più di due anni) da quando il gruppo comico The Jackal fotografava con il divertente video Dottor Internet il “tic” degli italiani (e non solo) di cercare sul web informazioni sulla propria salute o l’origine di sintomi di varia natura, ma questa abitudine non è affatto sparita, anzi!
Sono 4 miliardi le ricerche online legate alla salute fatte in Italia ogni anno. Dopo la pandemia la percentuale di persone che si informano in Internet per formulare una diagnosi sulla base dei propri sintomi è passata dal 49% al 73%, mentre sono 8 milioni gli utenti incappati in fake news. Bastano questi pochi dati per capire che il “Dottor Google” è una delle fonti a cui più spesso ci rivolgiamo quando abbiamo un problema di salute.
Questo va di pari passo con la diffusione capillare dei dispositivi connessi a Internet nelle tasche delle persone (soprattutto di quelle più anziane). Nel Regno Unito per esempio, gli over 65 in possesso di un device connesso al web erano il 67% nel 2015, ma la percentuale è salita al 96% nel 2020.
Il rischio però è di incappare in informazioni inutili, se non proprio dannose o di imbatterci in "fake news": notizie false che appaiono credibili solo perché rilanciate migliaia di volte sul web
I risultati che otteniamo alle nostre ricerche sono però spesso inefficaci o inutili, quando non dannosi. Un recente studio australiano ha dimostrato che a fronte della ricerca di un sintomo su Internet, la diagnosi corretta viene mostrata come primo risultato su Google solamente nel 36% dei casi. Il web quindi non è un sostituto del medico, ma può essere utile per fornire maggiori informazioni una volta che il paziente ha una diagnosi ufficiale.
Quello che i medici e le strutture sanitarie possono fare quindi, è usare il web per informare ed “educare” i propri pazienti, aiutandoli a comprendere le patologie e la natura dei trattamenti medici o sanitari proposti. Si tratta di marketing, come spiega bene nel nostro video Carlo Finocchi, fondatore dell’agenzia Marketing Medico, ma di un marketing “etico” finalizzato a informare il paziente e non ad influenzarlo nelle scelte che riguardano la sua salute.
Non solo "Dottor Google" e fake news. Il web può anche essere un alleato per la salute
D’altra parte, un decrescente “digital divide” e una maggiore familiarità con gli strumenti digitali anche da parte della popolazione più matura (e non solo da parte dei “nativi digitali”) si sono rivelati importantissimi in occasione della pandemia. I servizi di telemedicina infatti, rimasti per molto tempo tra i progetti di innovazione in sanità sempre annunciati e mai attuati, hanno conosciuto un’improvvisa impennata.
Il ricorso alla telemedicina, tra cui le visite mediche effettuate a distanza tramite video, è infatti uno dei trend innescati dal Covid-19 a livello globale e, secondo gli osservatori, resterà tale nei prossimi anni. Oltre ad aver reso possibile l’abbattimento di alcune barriere normative, la situazione di emergenza ha spinto i pazienti, soprattutto gli ultrasessantenni, a comprendere e utilizzare le app di videochiamata.
A fronte di una parziale “spersonalizzazione” della visita, le televisite presentano indubbi vantaggi in termini di:
- risparmio di tempo (per il medico e per il paziente),
- efficienza (è stato calcolato che una televisita prende in media il 20% in meno del tempo rispetto a una visita tradizionale – fonte: TMT Predictions 2021 Deloitte),
- rispetto delle esigenze del paziente (es. difficoltà di movimento/spostamento, oltre ovviamente ai limiti e divieti imposti dalle procedure anticovid).
La pandemia ha cambiato profondamente l’approccio del cittadino ai servizi digitali in sanità: la percentuale di chi ha ritirato online documenti clinici è passata dal 29% al 70%, quella di chi ha prenotato prestazioni online dal 23% al 69%, mentre è passata addirittura dal 15% al 62% quella di chi si dichiara disponibile a pagare online le prestazioni (fonte: Osservatorio di Innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano).
E gli stessi medici si dichiarano interessati a utilizzare in futuro le opportunità della telemedicina: televisite (dal 17% al 59%), teleconsulto tra specialisti (dal 16% al 72%), telemonitoraggio (dall’11% al 63%).
Carlo Finocchi è membro del Comitato Tecnico scientifico di SEF.