Endoscopia bariatrica: una svolta nel trattamento dell’obesità

L’endoscopia bariatrica sta guadagnando popolarità come trattamento per l’obesità, con il Policlinico Gemelli in prima linea. Nei prossimi anni, le procedure robotiche potrebbero ridurre i tempi dell’intervento a soli 5 minuti, mentre sono già in corso studi clinici per combinare l’endoscopia con farmaci anti-obesità.

Il peso dell'obesità in Italia

In Italia, quattro adulti su dieci sono in sovrappeso e oltre uno su dieci è affetto da obesità, una condizione cronica e multifattoriale che aumenta il rischio di sviluppare più di 200 altre malattie, tra cui il diabete di tipo 2 e diversi tumori.

Questa situazione ha portato la comunità scientifica mondiale a concentrarsi su soluzioni innovative per affrontare il problema.

Chirurgia e Farmaci: le opzioni tradizionali

Fino a pochi anni fa, la chirurgia bariatrica rappresentava l’unica soluzione per i casi più gravi di obesità.

Recentemente, sono stati sviluppati nuovi farmaci iniettivi, basati su incretine come semaglutide e tirzepatide, che offrono un’opzione efficace per la gestione del peso.

Tuttavia, esiste anche una terza via alternativa tra chirurgia e farmaci: l’endoscopia bariatrica.

Endoscopia Bariatrica: un'alternativa innovativa

L’endoscopia bariatrica rappresenta una valida alternativa per chi non può o non vuole sottoporsi a un intervento chirurgico.

Il professor Cristiano Spada, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore dell’Unità di Endoscopia Digestiva Chirurgica presso il Policlinico Gemelli, e il professor Ivo Boškoski, esperto di Gastroenterologia, ci spiegano i dettagli di questa tecnica innovativa.

Chi può sottoporsi all'endoscopia bariatrica?

L’endoscopia bariatrica è indicata per pazienti con un indice di massa corporea (BMI) compreso tra 30 e 40.

Tuttavia, le linee guida potrebbero presto estendersi a chi ha un BMI tra 27 e 30, in presenza di altre patologie.

La tecnica più utilizzata è la gastroplastica verticale endoscopica, che restringe lo stomaco per ridurre la capacità di assunzione di cibo e facilitare la perdita di peso.

Come funziona l'endoscopia bariatrica?

L’intervento di gastroplastica verticale viene eseguito in anestesia generale o sedazione profonda e dura solo 20-30 minuti.

Utilizzando un gastroscopio dotato di una speciale suturatrice, vengono applicati punti di sutura nello stomaco, riducendo lo spazio disponibile per il cibo. Questo porta a un senso di sazietà precoce.

Le novità della ricerca

La ricerca continua a svilupparsi con tecniche innovative. Al Policlinico Gemelli, uno studio sta valutando l’efficacia di combinare la gastroplastica endoscopica con l’ablazione della mucosa del fondo gastrico tramite laser.

Tale intervento riduce la produzione dell’ormone grelina, responsabile dell’appetito, favorendo una perdita di peso duratura e significativa.

I vantaggi dell'endoscopia bariatrica

Uno dei principali vantaggi di questa procedura è che può essere ripetuta in caso di recidiva.

Inoltre, è indicato anche per chi ha già subito interventi di chirurgia bariatrica inefficace.

Le complicanze dell’endoscopia bariatrica sono rare e, in molti casi, risolvibili durante l’intervento stesso.

L'integrazione con i Farmaci Anti-Obesità

L’uso di farmaci anti-obesità in combinazione con l’endoscopia bariatrica può rappresentare una soluzione ottimale per chi soffre di diabete o obesità di terzo grado.

Dopo l’intervento, i pazienti devono seguire un percorso multidisciplinare, sotto la guida di esperti come dietologi, diabetologi e psicologi, per ottenere risultati duraturi.

Il futuro: Robotica e Tecnologie Avanzate

In futuro, l’uso della robotica potrebbe migliorare ulteriormente l’efficacia dell’endoscopia bariatrica.

Il professor Boškoski ha menzionato il dispositivo sperimentale EndoZip™, che ridurrà la durata dell’intervento a soli cinque minuti, offrendo un’opzione ancora più rapida e sicura.

Masterclass di Endoscopia Bariatrica: una formazione di eccellenza

Il Policlinico Gemelli organizza ogni anno la Bariatric Endoscopy Masterclass, un evento di alta formazione che attira professionisti da tutto il mondo.

Questa masterclass, diretta dai professori Spada e Boškoski, rappresenta un’occasione unica per apprendere le tecniche più avanzate nell’endoscopia bariatrica e nel trattamento delle complicanze dell’obesità.

Un futuro di crescita per l'Endoscopia Bariatrica

La Bariatric Endoscopy Masterclass continua a offrire ai professionisti del settore un’opportunità formativa senza pari, contribuendo alla crescita delle competenze in un ambito cruciale per la salute pubblica e per il miglioramento della qualità di vita dei pazienti affetti da obesità.

Trapianti di cornea: risultati promettenti ma servono altri test

I risultati dell’intervento realizzato dagli oftalmologi dell’Università di Osaka, descritti su The Lancet, mostrano assenza di effetti collaterali significativi. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per confermare l’efficacia della procedura.

Trapianti di cellule staminali: i primi risultati

Tre persone con grave compromissione della vista che hanno ricevuto trapianti di cellule staminali hanno riscontrato miglioramenti sostanziali della vista, risultati che sono durati per oltre un anno.

Una quarta persona ha riscontrato miglioramenti simili, ma i benefici non si sono mantenuti nel tempo.

Questi quattro pazienti sono i primi al mondo a ricevere trapianti realizzati con cellule staminali riprogrammate per trattare le cornee danneggiate, la superficie esterna trasparente dell’occhio.

Un progresso significativo nello studio delle staminali

I risultati, descritti nella rivista scientifica The Lancet, sono stati definiti “impressionanti” da Kapil Bharti, ricercatore di cellule staminali traslazionali presso l’US National Eye Institute, National Institutes of Health, negli Stati Uniti.

Bharti ha dichiarato: “Si tratta di uno sviluppo entusiasmante“.

Jeanne Loring, ricercatrice sulle cellule staminali presso l’Istituto Scripps Research a La Jolla, ha aggiunto che questi risultati rappresentano un incentivo per estendere la terapia a più pazienti.

La scienza delle cellule riprogrammate

La cornea è mantenuta da un insieme di cellule staminali situate nell’anello limbare, l’anello scuro intorno all’iride.

Quando queste cellule staminali si esauriscono, si verifica una condizione nota come carenza di cellule staminali limbari (LSCD), in cui il tessuto cicatriziale ricopre la cornea portando alla cecità.

LSCD può derivare da traumi oculari o da malattie autoimmuni e genetiche.

Le opzioni di trattamento per LSCD sono limitate e spesso prevedono il trapianto di cellule corneali derivate dalle staminali dell’occhio sano del paziente stesso, un procedimento invasivo e con esiti incerti.

Per i casi in cui entrambi gli occhi sono colpiti, si può ricorrere a trapianti da donatori deceduti, ma spesso il sistema immunitario del paziente rigetta il tessuto.

La procedura sperimentale

Kohji Nishida, oftalmologo dell’Università di Osaka in Giappone, e il suo team hanno utilizzato cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) per creare i trapianti di cornea.

Hanno prelevato cellule del sangue da un donatore sano, le hanno riprogrammate in uno stato simile a quello embrionale e poi trasformate in un sottile strato trasparente di cellule epiteliali corneali.

Tra giugno 2019 e novembre 2020, due donne e due uomini con LSCD in entrambi gli occhi sono stati sottoposti a questo intervento, che prevedeva la rimozione del tessuto cicatriziale dalla cornea di un occhio e l’applicazione del foglio epiteliale con una lente a contatto protettiva.

Sicurezza del trapianto: nessun effetto collaterale

Dopo due anni, nessuno dei pazienti ha mostrato gravi effetti collaterali.

Gli innesti non hanno formato tumori, un rischio associato alla crescita delle cellule iPS, né hanno subito rigetti immunitari, nemmeno nei due pazienti che non hanno assunto farmaci immunosoppressori.

“È rassicurante vedere che gli innesti non sono stati rigettati – ha affermato Bharti – ma sono necessari ulteriori trapianti per garantire la sicurezza della procedura.”

Miglioramenti della vista post-trapianto

Subito dopo il trapianto, tutti e quattro i pazienti hanno mostrato un miglioramento della vista e una riduzione dell’area corneale affetta da LSCD.

Questo progresso si è mantenuto in tre dei pazienti, mentre uno ha mostrato lievi regressi nell’arco di un anno di osservazione.

Ipotesi sui meccanismi di miglioramento visivo

Bharti ha spiegato che la causa precisa dei miglioramenti visivi non è ancora chiara.

Le cellule trapiantate potrebbero essersi replicate nella cornea del ricevente, oppure il beneficio potrebbe essere stato innescato dalla rimozione del tessuto cicatriziale o dall’attivazione di cellule preesistenti dell’occhio che hanno contribuito al recupero.

Prospettive future

Nishida ha dichiarato che il team avvierà le sperimentazioni cliniche a marzo per verificare ulteriormente l’efficacia della terapia.

In tutto il mondo, sono in corso altre sperimentazioni basate sulle cellule iPS per trattare diverse malattie oculari.

“Questi successi – ha concluso Bharti – indicano che siamo sulla strada giusta.”

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Prehab per prepararsi al meglio ad un intervento chirurgico

Il prehab è un nuovo approccio che prepara corpo e mente prima di un intervento chirurgico, riducendo i rischi e migliorando il recupero, soprattutto per i pazienti anziani. Scopriamo come questa preparazione preventiva sta rivoluzionando la chirurgia.

Prepararsi per l'intervento

Affrontare un intervento chirurgico può essere una vera sfida, soprattutto per gli anziani.

Ma cosa accadrebbe se, invece di prepararsi solo dopo, fosse possibile potenziare corpo e mente prima dell’operazione?

Questo è l’obiettivo del prehab , un programma innovativo che sta rivoluzionando la medicina preventiva e riducendo i rischi post-operatori.

Vediamo insieme come questa preparazione mirata può aiutare i pazienti a superare al meglio la prova chirurgica.

La Pre-Riabilitazione o Prehab

La pre-riabilitazione, o prehab, rappresenta un nuovo approccio alla preparazione degli anziani e dei pazienti fragili per interventi chirurgici importanti.

Si tratta di un programma strutturato e multidisciplinare che integra l’esercizio fisico, ottimizzazione nutrizionale e supporto psicologico.

Questo approccio è mirato a migliorare le condizioni generali del paziente prima dell’intervento, facilitando un recupero rapido e riducendo i rischi post-operatori.

A differenza della riabilitazione classica, che si concentra sul recupero post-operatorio, il prehab punta a rendere il corpo e la mente più resistenti prima della grande sfida.

Pazienti più sereni

Mentre la riabilitazione post-operatoria mira a ristabilire funzionalità e forza, il prehab agisce prima, preparando il paziente ad affrontare meglio l’impatto dell’intervento.

Questa preparazione preventiva ha tre obiettivi principali: migliorare la condizione fisica, ottimizzare lo stato nutrizionale e supportare psicologicamente il paziente.

Il risultato è una riduzione delle ansie e paure legate all’operazione imminente.

Con il prehab, il paziente entra in sala operatoria in condizioni fisiche migliori e con una maggiore consapevolezza e serenità.

I benefici per i pazienti anziani

Per gli anziani, un intervento chirurgico maggiore rappresenta una prova fisica e psicologica significativa.

L’età avanzata comporta spesso una minore capacità di recupero e una maggiore fragilità, oltre alla presenza di patologie concomitanti che aumentano i rischi di complicazioni post-operatorie.

Preparare preventivamente questi pazienti non solo rafforza la loro resilienza fisica, ma riduce anche i tempi di degenza e le probabilità di complicanze.

Efficacia del prehab: i risultati della ricerca

Una recente revisione sistematica ha confermato l’efficacia del prehab nei pazienti anziani e fragili sottoposti a intervento di chirurgia addominale. L’analisi ha incluso 16 studi (di cui 6 randomizzati e 10 osservazionali) con un totale di 3.339 pazienti.

I risultati sono promettenti:

  • Riduzione della degenza ospedaliera : il tempo di ricovero si è ridotto in media di 1,07 giorni per i pazienti che hanno seguito il prehab, con un dato statisticamente significativo che evidenzia come questa pratica aiuti a recuperare più velocemente, riducendo i costi e il rischio di complicanze ospedaliere.
  • Minori patologie post-operatorie : nei pazienti che hanno seguito il programma, il rischio di patologie gravi (classificato come Clavien-Dindo ≥ 3) si è ridotto fino al 44%. Questo risultato è cruciale, poiché le gravi complicazioni allungano i tempi di recupero e influenzano negativamente la qualità della vita.
  • Miglioramento della prestazione fisica : i pazienti che hanno seguito il prehab hanno registrato un miglioramento della distanza percorsa nel test della camminata di 6 minuti (6MWT), con un incremento medio di 40,1 metri rispetto ai pazienti non sottoposti al prehab. Questo parametro indica una maggiore resistenza fisica, rendendo il corpo più preparato per affrontare l’intervento.

Verso un nuovo standard di cura

I dati della revisione suggeriscono con forza che il prehab dovrebbe essere integrato come pratica standard per i pazienti anziani e fragili in attesa di interventi importanti.

Questo approccio potenzia la capacità del paziente di tollerare l’operazione, con benefici tangibili per il recupero e la qualità della vita.

In un contesto in cui la popolazione anziana e fragile rappresenta una quota crescente di pazienti chirurgici, il prehab potrebbe diventare un pilastro per una chirurgia più sicura e sostenibile.

Messaggi da portare a casa

  • La pre-riabilitazione ( prehab ) prepara fisico e mente all’intervento, migliorando il recupero post-operatorio.
  • Nei pazienti anziani, il prehab riduce le complicazioni e i tempi di degenza in ospedale.
  • Con esercizio, nutrizione e supporto psicologico, il prehab rende la chirurgia più sicura e sostenibile.

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I migliori ospedali d’Italia a Milano, Firenze e Ancona

L’Agenas ha pubblicato la classifica dei migliori ospedali in Italia, valutati sulla base di criteri di eccellenza come il volume di interventi, la qualità dell’assistenza e la velocità di risposta.

I migliori ospedali d'Italia

I tre migliori ospedali italiani sono il Careggi di Firenze, l’Azienda Ospedaliera delle Marche di Ancona e l’Humanitas di Milano.

Le tre strutture sono praticamente a pari merito su sei aree di attività, come cardiologia e ortopedia, ma il Careggi si distingue per una settima area, offrendo assistenza materno-infantile con sala parto e neonatologia, rendendo la sua copertura teoricamente più completa.

A riconoscere questa eccellenza è il Piano Nazionale Esiti (PNE) di Agenas, l’agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, che valuta le strutture sulla base di indicatori come la sopravvivenza post-operatoria, il numero di casi trattati e la rapidità di risposta alle emergenze

Aumento dei ricoveri e angioplastiche in crescita

Secondo Agenas, nel 2023 le ospedalizzazioni sono aumentate raggiungendo quasi 8 milioni, con 312.000 ricoveri in più rispetto al 2022, avvicinandosi ai numeri pre-pandemia.

Nell’area cardiovascolare, la differenza di qualità tra Nord e Sud sembra attenuarsi, specialmente nella tempestività delle angioplastiche coronariche.

Gli interventi effettuati entro 90 minuti dall’infarto sono aumentati al 63% nel 2023, contro il 57% dell’anno precedente.

Strutture come il Barone Romeo di Patti (Messina), l’Ospedale di Treviso e il Pasquinucci di Massa-Carrara hanno eccelso, con oltre l’85% dei pazienti trattati tempestivamente.

Tuttavia, alcuni ospedali con un numero significativo di casi, come il Giaccone di Palermo e il San Giuliano di Napoli, registrano percentuali significativamente basse.

Interventi di Bypass e mortalità cardiaca

In cardiochirurgia, i ricoveri per bypass sono aumentati, anche se ancora 750 in meno rispetto al 2019.

Diciotto strutture in Italia soddisfano le soglie minime richieste, con l’azienda ospedaliera di Pisa, Cattinara e Maggiore di Trieste, e l’ospedale di Mestre che si distinguono per la bassa mortalità, rispettivamente dello 0,18%, 0,21% e 0,34%.

Tuttavia, il Gaspare Rodolico di Catania e altre strutture presentano tassi di mortalità più elevati.

Tumore alla mammella

Nel 2023, gli interventi per il tumore alla mammella sono stati 66.532, con 168 ospedali che superano i 150 interventi annui, coprendo l’85% della casistica totale.

Tuttavia, 201 strutture continuano a svolgere meno di 50 interventi annui, evidenziando la necessità di concentrare i casi nelle strutture con volumi maggiori per garantire una migliore qualità.

Gli ospedali IEO di Milano, Gemelli di Roma, Careggi di Firenze e Humanitas di Milano sono tra quelli che effettuano il maggior numero di interventi.

Tumore al colon

Con 26.154 operazioni di tumore al colon eseguite nel 2023, il 28% è stato trattato in ospedali con meno di 45 interventi annui, mentre il 66% è stato realizzato in strutture con oltre 50 interventi annui.

Tra i principali centri per il trattamento di questa patologia figurano il Gemelli di Roma, l’ospedale di Pisa e il Sant’Orsola di Bologna.

Tumore alla prostata

Nel 2023, l’80% dei 23.650 interventi per tumore alla prostata sono stati eseguiti in 143 strutture con volumi superiori a 50 operazioni all’anno. tuttavia, il 16% degli interventi è ancora svolto in strutture con un volume di attività insufficiente.

Tumore al polmone

Per il tumore al polmone, dei 14.336 interventi effettuati, il 74% è stato eseguito in ospedali che realizzano almeno 96 operazioni all’anno,

 Careggi, IEO e San Raffaele sono tra gli ospedali con il più alto numero di interventi.

Tumore al pancreas

Per gli interventi al pancreas, una patologia che richiede grande esperienza, solo 10 strutture in Italia raggiungono o superano i 50 interventi annui, rappresentando il 45% della casistica.

Tra i migliori centri per questi interventi complessi figurano l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona, il San Raffaele di Milano e l’ospedale di Pisa.

Tuttavia, il 42% dei casi è ancora trattato in strutture con volumi troppo bassi.

Il calo delle nascite e la diffusione dei parti cesarei

Nel 2023 i parti in Italia sono stati 381.766, in calo rispetto all’anno precedente, con un numero crescente di punti nascita che gestiscono meno di 500 parti all’anno.

L’incidenza delle parti cesarei è leggermente scesa al 22,7%, ma resta elevata soprattutto nelle strutture private e al Sud.

Frattura del femore: tempistica e performance regionale

Operare rapidamente, entro 48 ore, le fratture del femore è cruciale per gli anziani, e il 59% degli interventi del 2023 è avvenuto entro questo termine.

Tuttavia, regioni come Calabria, Liguria e Sardegna restano sotto la soglia del 60%.

Gli ospedali Umberto I di Siracusa e Monopoli di Bari si distinguono per l’efficienza, mentre strutture come quella di Matera presentano percentuali molto basse di tempestività.

Questi dati evidenziano come i migliori ospedali italiani si distinguono non solo per la qualità delle cure ma anche per la capacità di trattare un elevato numero di casi, un aspetto cruciale per mantenere elevati standard di assistenza e garantire un’efficace risposta sanitaria su tutto il territorio

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Congresso SIOT 2024 tra innovazione e tecnologica

Il 107° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) riunisce a Roma esperti italiani e internazionali per discutere le ultime innovazioni in ortopedia, tra cui intelligenza artificiale, chirurgia robotica e protesi personalizzate. L’evento prevede la partecipazione di specialisti da tutto il mondo e due Guest Nation, Brasile e Colombia, per arricchire il giorno

Innovazioni in ortopedia al Congresso SIOT 2024

L’edizione 2024 del Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) si terrà a Roma dal 29 al 31 ottobre, con un focus su temi all’avanguardia in ortopedia e traumatologia.

Tra gli argomenti trattati: intelligenza artificiale, chirurgia robotica, ortobiologia, medicina rigenerativa, e ritorno all’attività sportiva dopo lesioni legamentose al ginocchio.

L’evento accoglie illustri esperti italiani e internazionali, nonché società scientifiche di rilievo come l’American Academy of Orthopaedic Surgeons e l’European Federation of National Associations of Orthopaedics and Traumatology.

Novità dell'edizione: Guest Nation e SIOT 24 Experience

Quest’anno, per la prima volta, il Congresso SIOT ospiterà le “Guest Nation”, rappresentate da Brasile e Colombia. “Abbiamo voluto arricchire il Congresso con il contributo di relatori internazionali”, spiegano Francesco Benazzo e Pietro Cavaliere, Presidenti del Congresso, sottolineando l’importanza del confronto globale per una crescita reciproca.

Inoltre, è stata introdotta la “SIOT 24 Experience”: un programma educativo dedicato a oltre 50 specializzandi, selezionati dalle principali scuole di ortopedia. Questo percorso formativo, che durerà tutti i tre giorni del Congresso, consentirà ai giovani medici di seguire dibattiti e sessioni pensate appositamente per loro.

Cerimonia inaugurale e Lectio Magistralis

La cerimonia inaugurale del Congresso si aprirà con una Lectio Magistralis intitolata “ITALIA: IL NUOVO MELTING POT IN EUROPA? Il futuro dell’ortopedia nella nuova società italiana”.

La sessione vedrà la partecipazione di Javad Pavizi, rinomato ortopedico e migrante dall’Iran, e di Vincenzo Denaro, Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.

L’intervento sarà un’opportunità per esplorare le sfide e le opportunità della nuova società italiana in ambito ortopedico.

Obiettivi del Congresso SIOT 2024

Il Congresso SIOT è un’occasione unica di confronto tra esperti e di scambio di studi ed esperienze. “Questo evento è un momento di sintesi sulle tematiche più rilevanti in ortopedia e traumatologia”, spiega Alberto Momoli, Presidente SIOT. Anche Pietro Randelli, Vice Presidente SIOT, evidenzia come il Congresso sarà incentrato sulle nuove tecnologie e sul ruolo crescente della precisione in sala operatoria, con un focus su chirurgia robotica e protesi personalizzate.

Focus sulle protesi della caviglia

Secondo Bruno Magnan, Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia di Verona, gli interventi di protesi di caviglia stanno crescendo in Italia, ma sono ancora limitati rispetto ad altre protesi articolari.

Le innovazioni includono strumentazioni specifiche per il paziente (PSI) e protesi su misura, ideali per casi complessi, come perdite ossee post-traumatiche o tumorali.

Le protesi rappresentano un passo verso la precisione chirurgica personalizzata e la robotica.

Il ruolo dell'intelligenza artificiale in ortopedia

L’Intelligenza Artificiale (AI) sta rivoluzionando l’ortopedia, come evidenziato da Erika Maria Viola, UOC Ortopedia e Traumatologia di Cremona.

L’AI supporta i medici con analisi predittive, diagnosi avanzate e tecniche innovative per il trattamento delle patologie muscolo-scheletriche.

L’uso dell’AI permette di personalizzare i percorsi di guarigione e monitorare i risultati in modo oggettivo, contribuendo ad elevare gli standard di cura attraverso decisioni basate su esperienze condivise e tecnologie all’avanguardia.

La protesi di caviglia: un intervento in crescita

L’intervento di protesi della caviglia sta diventando sempre più comune per trattare gravi artrosi causate da traumi, distorsioni ripetute o artriti auto-infiammatorie. Al Policlinico Gemelli, il CIPEC si propone come punto di riferimento per il centro-sud Italia.

Quando consultare un ortopedico per il dolore alla caviglia

Se la tua caviglia diventa progressivamente più dolorosa, soprattutto dopo attività fisiche leggere, oppure inizia a irrigidirsi e a perdere mobilità, è importante prestare attenzione.

Il dolore cronico, il gonfiore frequente e l’eventuale deformità dell’articolazione sono segnali che non devono essere ignorati.

Questi sintomi indicano che qualcosa non va e potrebbe essere il momento di consultare un ortopedico specializzato in patologie della caviglia.

Questi segni, se trascurati, possono peggiorare, compromettendo la qualità della vita e limitando le normali attività quotidiane.

Causa dell'artrosi alla caviglia

A differenza dell’artrosi che si sviluppa in altre articolazioni come l’anca o il ginocchio, che è solitamente di natura degenerativa legata all’invecchiamento, l’artrosi della caviglia ha spesso origini diverse.

Nell’80% dei casi, infatti, l’artrosi alla caviglia è di tipo “secondario”, cioè causata da traumi precedenti.

Il dottor Gianluca Falcone, Responsabile del CIPEC (Centro Integrato per il trattamento delle Patologie del Piede e della Caviglia) della Fondazione Policlinico Gemelli, spiega che questa forma di artrosi è spesso una conseguenza di fratture malleolari, interventi chirurgici che non hanno avuto un esito ottimale o ripetuti traumi distorsivi.

Nel caso delle fratture, l’articolazione può deformarsi, mentre nei traumi distorsivi frequenti, i legamenti della caviglia vengono compromessi, causando instabilità cronica.

Queste problematiche, se non trattate correttamente, possono portare al danneggiamento progressivo delle strutture articolari, contribuendo all’insorgenza dell’artrosi.

Protesi di caviglia: quando è necessaria?

Quando l’artrosi alla caviglia è causata da fratture o traumi distorsivi ripetuti, o nei casi di malattie reumatiche infiammatorie come l’artrite reumatoide e psoriasica, può essere necessario un intervento chirurgico per la sostituzione dell’articolazione.

L’intervento di protesi della caviglia rappresenta una soluzione efficace per ridurre il dolore e ripristinare la mobilità articolare.

La decisione di optare per una protesi dipende dall’entità del danno articolare e dalla risposta del paziente ai trattamenti conservativi.

Sintomi dell'artrosi alla caviglia

L’artrosi della caviglia presenta sintomi caratteristici che non dovrebbero essere sottovalutati.

Tra questi ci sono il gonfiore persistente, che può variare d’intensità durante la giornata, e un dolore cronico che tende a peggiorare con il tempo (ingravescente).

A questi si aggiunge l’impotenza funzionale, che si manifesta con una progressiva difficoltà nel camminare (claudicatio), fino al punto di compromettere seriamente la deambulazione.

Il professor Ezio Adriani, Direttore della UOC di Traumatologia dello Sport e Chirurgia Articolare alla Fondazione Policlinico Gemelli, ricorda quanto questa condizione possa diventare estremamente dolorosa.

Un esempio noto è quello dell’ex calciatore argentino Gabriel Batistuta, il quale, a causa di dolori insopportabili alle caviglie, ha dovuto sottoporsi a un intervento di protesizzazione bilaterale.

I dolori erano talmente intensi che Batistuta aveva persino considerato l’amputazione delle gambe pur di trovare sollievo.

Diagnosi dell'artrosi alla caviglia

La diagnosi dell’artrosi alla caviglia inizia con una valutazione clinica da parte di un ortopedico esperto.

“Molto importante – spiega il dottor Falcone – sono le radiografie comparative e sotto carico delle caviglie”, poiché consentono di valutare lo stato delle ossa in condizioni di normale carico corporeo.

A differenza di altre articolazioni, per cui la risonanza magnetica (RMN) può essere utile, nell’artrosi della caviglia è fondamentale integrare l’esame con una radiografia, in quanto il problema è principalmente di natura ossea.

Nei casi in cui sia necessaria una migliore definizione del danno articolare, si può ricorrere anche a una TAC, utile per programmare l’intervento chirurgico.

Trattamenti conservativi nelle fasi iniziali

Nelle fasi iniziali dell’artrosi alla caviglia, il trattamento è di tipo conservativo, come accade per altre articolazioni colpite da artrosi.

Secondo il professor Adriani, il trattamento prevede farmaci antidolorifici, dispositivi ortopedici come plantari e tutori, e infiltrazioni con cortisonici o ortobiologici, come acido ialuronico, PRP (plasma ricco di piastrine) o tessuto adiposo.

In queste fasi, la fisioterapia può avere un ruolo limitato, ma rimane parte integrante del percorso terapeutico.

Se il paziente non ottiene miglioramenti significativi entro 6 mesi, diventa necessario valutare un’opzione chirurgica, come la sostituzione della protesica dell’articolazione.

Intervento di protesizzazione della caviglia

Le prime protesi di caviglia sono state introdotte circa vent’anni fa, ma è solo grazie ai recenti progressi nei biomateriali e nelle tecniche chirurgiche che questo intervento ha iniziato ad affermarsi con successo.

Le protesi di ultima generazione sono progettate per risparmiare l’osso (bone-sparing) e si limitano a ricreare la superficie articolare danneggiata, anziché sostituirla completamente.

L’intervento consiste nella sostituzione della superficie cartilaginea della tibia e dell’astragalo con componenti protesiche in titanio, tra le quali si interpone un cuscinetto di polietilene, un materiale plastico speciale che garantisce la congruenza tra le superfici metalliche.

L’operazione dura circa un’ora e il paziente rimane in ospedale per un paio di giorni.

Tuttavia, nei casi in cui l’artrosi sia dovuta a traumi complessi, l’intervento può includere anche procedure aggiuntive, come la riparazione dei legamenti o le osteotomie, per correggere eventuali deformità residue.

Riabilitazione Post-Intervento

Il processo di riabilitazione dipende dalla complessità dell’intervento.

Se la protesizzazione è stata semplice, la riabilitazione inizia subito, con movimenti passivi della caviglia e un carico immediato.

Al contrario, se sono state necessarie procedure aggiuntive, come la ricostruzione dei legamenti o l’esecuzione dell’osteotomia, è necessario attendere circa un mese prima di poter caricare il peso sulla caviglia.

In questi casi, il paziente dovrà utilizzare bastoni canadesi per un mese e seguire un percorso di fisioterapia per due o tre mesi.

Il ritorno alle normali attività quotidiane avviene in circa tre mesi, mentre la ripresa dell’attività sportiva richiede solitamente sei mesi.

Le innovazioni tecnologiche nella chirurgia della caviglia

La chirurgia della caviglia sta diventando sempre più precisa e personalizzata.

Il professore Adriani sottolinea come l’uso della robotica e della navigazione assistita dall’intelligenza artificiale rappresenti il ​​futuro anche per l’intervento di protesi di caviglia.

Queste tecnologie consentiranno di migliorare ulteriormente l’accuratezza e la sicurezza degli interventi, riducendo i rischi e migliorando i risultati a lungo termine per i pazienti.

La salute prima di tutto: la sanità italiana preoccupa più di tasse e guerre.

Negli ultimi anni, la principale preoccupazione degli italiani è diventata la qualità del sistema sanitario, superando temi come il costo della vita e la disoccupazione. Mentre le guerre perdono rilevanza nella percezione pubblica, l’attenzione si concentra su problemi interni legati al benessere e al futuro del paese.

L'emergenza Covid e le preoccupazioni sociali

Pochi anni fa, all’inizio del decennio, le preoccupazioni degli italiani erano fortemente concentrate su un unico problema: il Covid.

Il virus che ha coinvolto e sconvolto la società ha provocato un numero crescente di vittime, monopolizzando l’attenzione collettiva.

In quel periodo, le questioni economiche e, in misura minore, la disoccupazione, generavano una crescente inquietudine, superando altre preoccupazioni come le tasse e l’immigrazione, quest’ultima percepita come una “invasione”.

Tuttavia, il cambiamento climatico e le guerre, vicine ai nostri confini come in Ucraina, e più lontane come in Medio Oriente, continuavano a rappresentare un motivo di insicurezza per molti.

Un cambiamento di percezioni

A distanza di pochi anni, le percezioni sono cambiate radicalmente.

Oggi, l’attenzione sociale si è concentrata su un altro tema cruciale: la qualità del sistema sanitario.

Rispetto a due anni fa, il numero di persone che ha indicato questo tema tra i due più importanti è triplicato, passando dal 13% al 40%.

Nonostante il costo della vita resti una preoccupazione significativa, essa viene ora ampiamente superata dall’attenzione verso la salute, che è tornata a dominare la lista delle priorità dei cittadini italiani.

La guerra e il distacco emotivo

Le guerre, pur rimanendo un elemento di inquietudine, hanno perso parte del loro impatto emotivo sugli italiani.

Sebbene i conflitti continuino a scuotere lo scenario globale, con guerre in Ucraina, Medio Oriente, Afghanistan, Libano, Siria e Iraq, essi sembrano essere percepiti come “lontani”.

Un recente sondaggio di Demos, condotto per Repubblica, ha mostrato che solo il 9% degli italiani ritiene la guerra una delle principali urgenze. L’attenzione si è spostata su altre questioni interne.

Le preoccupazioni interne: lavoro, tasse e immigrazione

Gli italiani sono maggiormente preoccupati da problemi interni, come la disoccupazione, il lavoro che manca, le tasse, la corruzione politica e l’immigrazione.

Questi argomenti suscitano timori particolari soprattutto nelle aree più vulnerabili del paese, come il Mezzogiorno, tra i disoccupati e gli studenti, categorie che spesso hanno difficoltà a immaginare e progettare il proprio futuro.

Cambiamenti nelle priorità: sistema sanitario e scuola

Guardando indietro a due anni fa, si nota un cambiamento significativo nelle priorità degli italiani.

Il sistema sanitario ha assunto un’importanza centrale, mentre altre questioni, come il costo della vita e l’economia, hanno perso rilevanza.

Questo cambiamento riflette un’attenzione maggiore verso la salute e la qualità della vita, mettendo in secondo piano problemi come le tasse e la disoccupazione.

Un’altra area di crescente preoccupazione è la qualità della scuola, che evidenzia l’attenzione verso il futuro dei giovani, considera il futuro del paese.

Anche le questioni ambientali, pur segnalate come prioritarie dall’11% degli italiani, hanno perso parte della loro importanza rispetto a due anni fa.

Influenze politiche sulle priorità

Le opinioni politiche influenzano fortemente la percezione dei problemi principali.

Gli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia danno maggiore importanza all’immigrazione e, nel caso di chi sostiene FdI, alla criminalità.

Al contrario, l’attenzione verso la qualità del sistema sanitario è particolarmente forte tra gli elettori di AVS e del PD, sebbene questi problemi siano condivisi in modo trasversale, anche se con minore urgenza tra gli elettori dei partiti di governo.

Un'agenda complessa e differenziata

L’agenda delle questioni più urgenti secondo i cittadini risulta complessa e diversificata, ma alcune priorità emergono con chiarezza.

Il lavoro, il costo della vita e, soprattutto, la qualità del sistema sanitario, occupa i primi posti nelle preoccupazioni degli italiani.

La salute, personale e familiare, sembra ora predominare su tutto il resto.

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Esodo ortopedico dalla Toscana verso l’Emilia

La Toscana sta affrontando un aumento della mobilità passiva, con molti cittadini che si spostano in Emilia-Romagna per cure ortopediche. Questo fenomeno sta sollevando preoccupazioni economiche e organizzative per la sanità regionale, spingendo l’assessorato a cercare soluzioni per trattenere i pazienti e ridurre i costi.

La mobilità ortopedica verso l'Emilia-Romagna

In Toscana, la mobilità passiva per interventi ortopedici è un problema crescente.

Molti cittadini decidono di curarsi fuori regione, in particolare in Emilia-Romagna, per trattamenti come protesi d’anca, interventi al ginocchio e alla spalla.

Sebbene la mobilità passiva, cioè i pazienti in uscita, sia inferiore rispetto a quella attiva (i pazienti in entrata), il fenomeno preoccupa l’assessorato alla sanità.

La regione spende circa 30 milioni di euro all’anno per i cittadini che attraversano l’Appennino per interventi ortopedici.

Il funzionamento della mobilità sanitaria

La mobilità sanitaria è un fenomeno strettamente economico.

Ogni anno, le prestazioni sanitarie erogate per pazienti provenienti da altre regioni vengono contabilizzate e compensate attraverso il Fondo sanitario nazionale.

Ogni prestazione ha un valore economico, e viene calcolato il saldo tra le entrate e le uscite.

Se il saldo è attivo, la quota del fondo sanitario per quella regione aumenta; se è passivo, viene ridotta.

La Toscana è una delle quattro grandi regioni italiane con un saldo attivo, insieme a Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

Tuttavia, nel 2023, la Toscana ha visto un calo del saldo attivo, passando da +63 milioni a +58 milioni, mentre altre regioni come Lombardia (+579 milioni) ed Emilia-Romagna (+465 milioni) hanno incrementato il proprio saldo.

Le uscite della Toscana, invece, sono aumentate: da 190 milioni nel 2022 a 212 milioni nel 2023.

Le ragioni dello spostamento

Una parte della mobilità sanitaria è fisiologica.

Per chi vive vicino ai confini regionali, è spesso più comodo spostarsi in un’altra regione per determinate cure. Inoltre, c’è la mobilità d’emergenza, per chi si trova lontano da casa per lavoro o vacanza e necessita di assistenza medica.

Tuttavia, esiste anche la mobilità volontaria e programmata, quando i pazienti scelgono consapevolmente di curarsi altrove.

Questo è il caso della maggior parte dei pazienti ortopedici toscani, che preferiscono spostarsi in Emilia-Romagna per cercare cure migliori.

Solo per questo tipo di interventi, la Toscana ha versato circa 30 milioni di euro all’Emilia-Romagna nel 2023.

Il problema dell'ortopedia

Le ragioni di questo esodo ortopedico sono molteplici.

Da un lato, la ricerca di centri di eccellenza, come l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, attira pazienti da tutta Italia.

Tuttavia, molti dei pazienti che si spostano lo fanno per interventi di routine, come le protesi all’anca o al ginocchio, il che indica che le liste d’attesa in Toscana potrebbero essere troppo lunghe o che la fiducia nei confronti delle strutture locali sia ridotta.

Un altro fattore rilevante riguarda i medici stessi. Alcuni ortopedici toscani, che lavorano nel servizio sanitario regionale, propongono ai pazienti di operarsi in cliniche convenzionate in Emilia-Romagna, dove non devono pagare nulla perché la Regione Toscana copre i costi. L’unico onere per i pazienti è affrontare un breve viaggio.

Le soluzioni in discussione

Per affrontare questo problema, l’assessorato alla sanità toscano sta cercando soluzioni per ridurre il numero di pazienti che si spostano fuori regione per interventi ortopedici.

L’obiettivo è aumentare la capacità e l’efficienza delle strutture sanitarie regionali, creando percorsi di cura che trattengano i pazienti.

Tuttavia, per raggiungere questo risultato, saranno necessarie nuove idee e, probabilmente, maggiori risorse.

Fonte:

Scoperta la cellula ingegnere che crea nuove arterie dopo l’infarto

Dopo un infarto, il cuore può tentare di autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni, ma spesso questi non sono sufficienti. Uno studio coordinato da Elena Cano ha identificato una cellula “primordiale” capace di creare arterie, offrendo una nuova speranza per migliorare la circolazione e limitare i danni cardiaci post-infarto.

Il problema della riparazione cardiaca dopo un infarto

Dopo un infarto, le cellule della zona colpita dall’ischemia prolungata muoiono a causa della mancanza di ossigeno e soprattutto di sangue, che normalmente fluisce attraverso piccoli vasi.

In alcuni casi, il miocardio riesce ad autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni attorno alla zona danneggiata, ma spesso questi non sono sufficienti.

Ci vorrebbero arterie più grandi e potenti per garantire un nutrimento adeguato al cuore.

Questo è il sogno di molti ricercatori, e grazie a uno studio coordinato da Elena Cano, c’è speranza che diventi realtà.

Le cellule di "punta"

Gli studiosi hanno identificato un particolare tipo di cellula, chiamata “pre-arteriosa”, che svolge un ruolo chiave nella formazione di nuovi vasi sanguigni.

Queste cellule sono considerate precursori di nuove arterie, capaci di rispondere a segnali ambientali e guidare la crescita dei vasi in direzioni specifiche.

Studi condotti su animali hanno rivelato che queste cellule erano già indirizzate a svilupparsi come arterie, contraddicendo l’idea che le arterie si formassero solo in risposta al fluido che le attraversa.

Questo studio ha dimostrato che le cellule pre-arteriose acquisiscono le caratteristiche delle arterie prima ancora che il sangue inizia a fluire al loro interno.

Meccanismi di rigenerazione cardiaca

I ricercatori hanno confrontato il comportamento delle cellule pre-arteriose negli animali e negli esseri umani, utilizzando tessuti cardiaci embrionali umani.

Hanno scoperto che il meccanismo di formazione delle nuove arterie è conservato non solo durante lo sviluppo embrionale, ma anche dopo un infarto.

Questo meccanismo potrebbe essere la chiave per stimolare la rigenerazione delle arterie coronariche, aprendo nuove possibilità terapeutiche per limitare i danni al miocardio e migliorare la circolazione sanguigna nell’area colpita dall’ischemia.

Speranze per il futuro

Nonostante i grandi progressi ottenuti nel ridurre l’estensione degli infarti tecniche attraverso come l’angioplastica, i tentativi di rigenerare il muscolo cardiaco danneggiato hanno avuto esiti deludenti.

La sfida principale è garantire che le cellule staminali possano attaccarsi nel tessuto cicatriziale e ricevere il giusto apporto di sangue e ossigeno.

Le cellule pre-arteriose presenti in questo studio potrebbero essere un passaggio cruciale per la creazione di nuovi vasi sanguigni all’interno del tessuto danneggiato, facilitando così la rigenerazione del muscolo cardiaco e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Fonte:

Prime evidenze dal registro delle protesi mammarie

 

Il registro nazionale delle protesi mammarie ha fornito i primi dati rilevanti sugli impianti in Italia, migliorando la sicurezza dei pazienti e ottimizzando la gestione clinica. Grazie a un monitoraggio rigoroso, questo strumento offre benefici per la salute pubblica e l’uso efficiente delle risorse sanitarie.

Statistiche sugli impianti di protesi mammarie in Italia

Dal 1° agosto dell’anno scorso al 30 giugno 2024, sono state oltre 500 le strutture sanitarie che hanno caricato almeno una volta le informazioni relative all’impianto di protesi mammarie.

Durante questo periodo, 1.207 chirurghi sono stati coinvolti in oltre 22.500 interventi, di cui più di 6.500 eseguiti in strutture pubbliche e 15.772 in strutture private.

Complessivamente, sono state impiantate più di 37.000 protesi mammarie, con oltre 8.000 interventi nel pubblico e più di 28.000 nel privato, coinvolgendo oltre 21.800 pazienti.

Il Registro Nazionale delle Protesi Mammarie

I dati provengono dal Registro Nazionale delle Protesi Mammarie, istituito per monitorare l’attività clinica, prevenire complicanze, migliorare la gestione degli effetti indesiderati e rintracciare tempestivamente i pazienti se necessario.

Avviato a pieno regime nel 2023, il registro offre la possibilità di un controllo continuo a scopo di ricerca scientifica e clinica.

Nel lungo termine, si prevede che diventi uno strumento utile per la programmazione dei dispositivi medici impiantabili.

La storia dei Registri sulle Protesi Mammarie

Il registro nazionale è stato istituito presso il Ministero della Salute insieme ai registri regionali e provinciali, grazie alla legge 86 del 2012.

La necessità di raccogliere informazioni su questi dispositivi nasce dall’importanza che il mondo scientifico e le istituzioni attribuiscono alle protesi mammarie, classificate nella più alta categoria di rischio (classe III) dal decreto legislativo 304 del 2004.

La legge è stata approvata a seguito di problemi riscontrati in Europa, tra cui il caso delle protesi PIP riempite di silicone non conforme.

Obbligo di registrazione degli interventi

Tutte le Regioni e Province autonome italiane hanno istituito un proprio registro e, di conseguenza, tutti i chirurghi che impiantano o rimuovono protesi mammarie devono registrare l’intervento entro tre giorni dalla procedura.

Le strutture sanitarie che omettono la raccolta e trasmissione dei dati sono soggette a sanzioni amministrative.

Inoltre, i distributori di protesi sono obbligati a registrare mensilmente ogni dispositivo venduto in Italia.

Il primato italiano nel Registro delle Protesi Mammarie

L’Italia vanta un primato globale per il suo registro delle protesi mammarie grazie all’obbligatorietà della trasmissione dei dati e alla gestione da parte di un’istituzione governativa.

In altri Paesi, come Francia, Svezia, Olanda, Regno Unito e Stati Uniti, i registri sono volontari e raggiungono una copertura variabile.

Il registro italiano è considerato un esempio di best practice, poiché consente di monitorare la sicurezza e l’efficacia dei dispositivi medici e di migliorare la qualità delle cure.

Estensione del modello ad altri dispositivi medici

Il monitoraggio delle protesi mammarie non solo tutela la salute dei pazienti, ma può anche contribuire a contenere la spesa pubblica.

Solo nel 2023, sono stati spesi oltre 5 miliardi di euro per dispositivi medici.

Il modello del registro potrebbe essere esteso ad altre categorie di impianti, come quelli cardiologici e ortopedici, che rappresentano circa l’84% della spesa per dispositivi ad alto rischio.

Analisi dei dati sulle sostituzioni

Per conoscere la durata media di vita di una protesi mammaria sarà necessario attendere gli interventi di sostituzione o rimozione.

Tuttavia, il Ministero della Salute ha iniziato a monitorare i tempi medi di revisione degli impianti.

I dati mostrano che i tempi di revisione sono inferiori nei pazienti sottoposti a procedure ricostruttive, probabilmente a causa di trattamenti come la chemioterapia o la radioterapia, che influenzano gli esiti chirurgici.