Protesi al seno come regalo per i 18 anni: chirurghi estetici contrari

A 18 anni non avrebbero bisogno di nulla per essere belle. Ma spesso ricevono l’intervento al seno come regalo di compleanno. Non vengono con il fidanzato, ma con la mamma. E di solito è proprio lei a insistere di più, di fronte ai miei tentativi di dissuasione, dice Emanuele Bartoletti.

L'influenza dei social media sull'estetica giovanile

Emanuele Bartoletti, presidente della Società Italiana di Medicina Estetica (Sime) e direttore dell’ambulatorio di medicina estetica all’ospedale Fatebenefratelli-Gemelli Isola a Roma, potrebbe essere contento della piega che prendono i suoi affari.

Ma rifare il seno per le diciottenni è diventato una moda dettata dai social. E la medicina non deve diventare una moda dettata dai social. Non è possibile sottoporsi a un intervento chirurgico per poter postare il selfie del prima e del dopo”.

Regolamenti e sanzioni per interventi precoci

Secondo i dati del Registro nazionale per le protesi mammarie le donne che scelgono l’intervento prima dei vent’anni sono l’1%. Ma il loro numero è in aumento.

E il Ministero della Salute ha sentito il bisogno di intervenire per ribadire le regole in vigore dal 2012.

In una circolare ricorda che è illegale operare al seno per fini estetici ragazze minorenni e che tutte le pazienti su cui si interviene devono essere inserite nel registro nazionale per fini di monitoraggio e di ricerca.

Per i medici che violano le regole è prevista una multa di 20mila euro e la sospensione dalla professione per tre mesi.

Riflessioni sull'età e la maturità decisionale

“L’adolescenza è un periodo di incertezza” riflette Bartoletti. “Prima di optare per l’intervento spesso basta aspettare che il tempo appiani i dubbi. Le ragazze di solito lo capiscono prima delle madri. Da tempo chiedo che si smetta di regalare la protesi al seno per i 18 anni. E’ una deriva che va assolutamente bloccata. E’ vero che l’intervento è reversibile, ma per togliere la protesi bisogna comunque tornare in sala operatoria. Il seno avrà nel frattempo cambiato forma. Riadattarlo può richiedere delle procedure che lasciano cicatrici”.

Tendenze e conseguenze degli interventi giovanili

Gli interventi per aumentare le dimensioni del seno sono in crescita a tutte le età.

Hanno uno spiccato andamento stagionale. Nel 2019 il picco di giugno raggiungeva i 160-170 casi al mese.

A maggio del 2023 si è arrivati invece a 400. Una donna su quattro nel corso della vita cambia idea e torna sotto ai ferri per eliminare la protesi.

Nel 37% dei casi questa scelta non è motivata da ragioni mediche. E’ solo frutto di scontentezza.

Fattori di riflessione sull'età e le motivazioni

Fino all’anno scorso – i dati del registro non sono aggiornati al 2024 – le diciottenni rappresentavano un’esigua minoranza.

Qualche ragazza con meno di vent’anni compariva anche nella lista di chi ci aveva ripensato e aveva deciso di eliminare la protesi.

Nella fascia 20-24 anni la percentuale delle donne che hanno fatto ricorso alla chirurgia per ottenere un seno più grande si avvicinava al 10% del totale degli interventi effettuati, per superare il 15% tra 25 e 29 e poi toccare il picco quasi al 20% tra 30 e 39 anni.

Le ultime operazioni avvengono tra 65 e 69 anni.

Considerazioni sulla salute e sulle implicazioni future

“Non è vero che una protesi ostacola la diagnosi di un eventuale tumore al seno”, spiega Bartoletti. “Ma le complicanze dell’intervento di chirurgia plastica sono sempre possibili.

Si va dagli ematomi all’eventualità che la protesi si giri o si indurisca. Alcune protesi di vecchia generazione, in casi molto rari, hanno causato una forma di tumore comunque trattabile.

Le ragazze giovani poi si troveranno probabilmente in futuro ad allattare. Non esistono controindicazioni, ma il cambiamento di forma del seno che avviene con l’allattamento potrebbe richiedere un intervento successivo di riadattamento”.

Ruolo delle influenze familiari e sociali

Se questi avvertimenti siano sufficienti a far cambiare idea alle madri appassionate di chirurgia estetica e alle figlie appena diventate maggiorenni non è chiaro. “Io sconsiglio l’intervento, se non c’è un’indicazione medica, ma non so se poi le ragazze si rivolgeranno ad altri” ammette Bartoletti.

“Quel che osservo è che mai, o molto raramente, a insistere per la protesi sono fidanzati o mariti”. Il ritocco al seno, opportuno o meno, resta una scelta femminile.

Fonte:

Corsa alla chirurgia estetica lascia ospedali senza medici

Specializzazioni in chirurgia estetica al completo, mentre quelle in oncologia e toracica restano vacanti. “Un intervento estetico può fruttare quanto uno stipendio mensile di un medico ospedaliero.”

Le preferenze dei giovani medici

Quando si tratta di scegliere se impugnare un bisturi, i giovani laureati in medicina hanno le idee molto chiare.

Preferiscono tirare fuori dallo sterilizzatore gli strumenti necessari per gli interventi estetici piuttosto che quelli che si usano per curare tumori o altri problemi più o meno gravi.

A dirlo sono i risultati degli ultimi bandi per le scuole di specializzazione universitarie, quelli assegnati a fine anno scorso (in questi giorni iniziano le selezioni per il 2024).

La popolarità della chirurgia estetica

Se ci fossero ancora più borse in chirurgia plastica ed estetica rispetto alle 119 messe a disposizione, sicuramente verrebbero tutte prese.

Il 97% dei posti, cioè 116, nel 2023 è infatti stato occupato.

Tre sono rimasti vacanti solo perché i dottori che li avevano ottenuti hanno poi cambiato idea e si sono spostati in altre specializzazioni.

La scarsa attrattiva della chirurgia generale

Le altre discipline chirurgiche, invece, sono in affanno e restano ben distanti dall’occupare tutti i posti.

Il caso più eclatante è quello della chirurgia generale, dove di 686 borse ne sono state assegnate 260, cioè appena il 38%.

«La nostra specialità è sempre meno attrattiva — spiega Vincenzo Bottino, presidente di Acoi, l’associazione dei chirurghi ospedalieri — Il problema sono i contenziosi medico-legali, sempre più diffusi, e il fatto che ci occupiamo spesso di emergenza.

I chirurghi plastici rischiano il contenzioso pure loro ma generalmente i loro sono interventi più semplici».

La tendenza verso il privato

Inoltre, la chirurgia plastica viene svolta principalmente nel settore privato.

Quel tipo di chirurgia, infatti, spinge i professionisti verso ambulatori e cliniche dove, vista la richiesta di ritocchi di vario genere, anche da parte di ragazze che chiedono ai genitori come regalo le protesi al seno, fanno ottimi affari.

Nel settore pubblico restano quelli che si occupano di patologie oncologiche, come il melanoma e gli altri tumori della pelle, o di ricostruzioni dopo traumi e malattie.

La difficoltà di reclutamento

«Abbiamo difficoltà a trovare colleghi che lavorino con noi in ospedale — spiega Lorenzo Borgognoni, che coordina il gruppo chirurgico nazionale dell’Imi, l’Intergruppo melanoma italiano, e dirige la chirurgia plastica e ricostruttiva e centro di riferimento toscano per il melanoma, all’ospedale di Ponte a Niccheri a Firenze — Molti professionisti percorrono la strada privata.

Pochi scelgono la chirurgia ricostruttiva, ad esempio la chirurgia plastica oncologica.

Con i colleghi degli altri ospedali ci confrontiamo spesso perché constatiamo la carenza di candidati nei concorsi per dirigente medico in ambito nazionale».

L'educazione nelle scuole

Gran parte degli specializzati sceglie la chirurgia estetica. «È comunque un settore con una sua dignità — dice Borgognoni — ed è importante che ad occuparsene siano persone preparate, specialisti ben formati.

Scelgono in tanti quella strada perché con un intervento guadagnano quanto prende un ospedaliero in un mese di lavoro».

Poco conta se chi sta nel pubblico si occupa di casi più gravi.

Per far comprendere gli aspetti positivi del lavoro all’interno dell’ospedale, Acoi, spiega ancora Bottino, sta preparando «una campagna educativa nelle scuole, anche tra chi è iscritto ai primi anni di medicina.

I giovani sono spaventati dalla chirurgia, vedono ostacoli e difficoltà mentre la gratificazione che dà salvare la vita delle persone oggi sembra sia secondaria».

Le sfide della chirurgia toracica

La specialità che assegna meno borse di specializzazione, 28 e cioè appena il 30% del totale, è la chirurgia toracica, un’altra disciplina prettamente pubblica.

Del resto, i privati non sono interessati a fare interventi complessi come quelli sul tumore al polmone.

Mario Nosotti è ordinario e presidente eletto della società scientifica della chirurgia toracica. «Per noi, intanto, c’è un problema di accesso alla specialità. Prima che il concorso fosse unico e nazionale, ogni settore faceva i suoi bandi. E così gli studenti di medicina venivano prima a vedere come si lavora in chirurgia toracica. Adesso la nostra branca è diventata di nicchia, poco conosciuta. Inoltre, il lavoro è impegnativo, richiede dedizione e infatti qualcuno dopo aver visto per un anno come funziona cambia».

Migliorare le condizioni dei medici

Per Nosotti, infine, c’è un tema più generale: «I medici devono essere pagati meglio, recuperare un ruolo che hanno perso, e se ci facessero fare meno burocrazia potremmo dedicarci di più al lavoro, cosa che ci farebbe diventare più attrattivi per i giovani colleghi e al contempo ridurrebbe le carenze degli organici».

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Chirurgia robotica, a Candiolo debutta il nuovo sistema hi-tech monobraccio

Al chirurgo-robot oggi basta un solo ‘accesso’ per operare prostata e rene. Con il nuovo sistema robotico ‘monobraccio’ non servono più le classiche quattro incisioni nella parete addominale per inserire i bracci robotici operatori. Ora è sufficiente una sola incisione, delle dimensioni massime di una moneta. Questo riduce il recupero post-operatorio al minimo indispensabile e in futuro permetterà ai pazienti di tornare a casa dopo poche ore dall’intervento.

Disponibilità e prime applicazioni

L’innovativa tecnologia è da oggi disponibile all’Irccs di Candiolo (Torino), dove sono stati operati i primi due pazienti con il nuovo metodo.

In futuro, l’intervento di rimozione di un tumore alla prostata diventerà una procedura rapida, con un ricovero di 24-48 ore. Il nuovo robot Da Vinci SP, acquisito con il contributo della Fondazione Piemontese per la ricerca sul Cancro Onlus, rappresenta un sistema di ultimissima generazione.

Caratteristiche del Robot Da Vinci SP

Il sistema robotico Da Vinci SP è dotato di un unico braccio robotico che permette di eseguire interventi chirurgici complessi attraverso un unico accesso, sfruttando, dove possibile, orifizi naturali per raggiungere gli organi senza ledere la parete muscolare.

Il braccio è equipaggiato con tre strumenti chirurgici avanzati che offrono una mobilità superiore rispetto alla mano umana e con un endoscopio super-flessibile e orientabile per una visione in alta definizione del campo operatorio, tutti controllati direttamente dal chirurgo.

Benefici per i pazienti

Una volta inserito, il sistema consente una grande capacità di manovra in spazi anatomici molto ristretti, richiedendo un adattamento a nuove modalità operative.

Questo rende l’intervento ultra-preciso e mininvasivo grazie al singolo accesso di circa 3 cm.

Per i pazienti, questo si traduce in una riduzione del trauma e dell’infiammazione locali, diminuendo notevolmente il dolore post-operatorio e accorciando i tempi di recupero, con benefici estetici e psicologici.

Diffusione internazionale

Già utilizzato negli Stati Uniti, dove è stato introdotto nel 2018, l’uso del robot cresce del 38% annuo, con 9000 interventi eseguiti solo nel 2023.

Da un paio di mesi ha ricevuto il marchio CE ed è stato introdotto in Germania e Regno Unito.

In Italia, Candiolo è il quarto centro, unico in Piemonte, a dotarsi dell’innovativa tecnologia, la più avanzata piattaforma robotica attualmente disponibile.

Indicazioni e utilizzo clinico

Il robot monobraccio non è adatto a tutti i pazienti.

Le prime indicazioni per il suo uso naturale si trovano nella chirurgia urologica, che negli USA rappresenta il 73% degli interventi, prevalentemente nel trattamento del tumore del rene e della prostata.

In questi casi, il sistema consente di operare al di fuori della cavità addominale con una minore invasività, senza compromettere la qualità chirurgica e riducendo del 30% i tempi di degenza grazie a una rapida ripresa e una significativa riduzione del dolore post-operatorio.

Prospettive future

Dei circa 500 interventi di chirurgia robotica programmati a Candiolo nel 2024, oltre un centinaio saranno eseguiti con il robot ‘monobraccio’.

L’obiettivo dell’Irccs di Candiolo, grazie all’adozione di questa innovativa tecnologia, è offrire a ciascun paziente una chirurgia sempre più precisa e personalizzata, senza compromettere l’efficacia oncologica e massimizzando i risultati funzionali e la rapida ripresa della vita quotidiana, grazie al minimo impatto dell’intervento.

Il ruolo della cardiologia interventistica in Italia

La Cardiologia interventistica si conferma il cardine del trattamento dell’infarto miocardico acuto in Italia, con una rete capillare sul territorio nazionale che garantisce più di 36 mila procedure di angioplastica primaria (“il palloncino” per riaprire le coronarie chiuse, responsabili dell’infarto acuto), raggiungendo da diversi anni gli standard di fabbisogno delineati dall’epidemiologia di questa malattia.

Aumento della diagnostica innovativa

Aumenta la diagnostica con i metodi di imaging più innovativi e con le tecniche per lo studio della funzionalità cardiovascolare, ma siamo ancora lontani dalla media dei Paesi Europei più avanzati.

Crescono fino al 20% le procedure di cardiologia interventistica strutturale (interventi sulle valvole cardiache), ma restano ancora al di sotto del fabbisogno della popolazione e con differenze regionali ancora molto marcate.

Bilancio del report 2023 del GISE

È un bilancio con molte luci ma che ha ancora qualche ombra quello del Report 2023 della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), l’unica realtà italiana dotata di un Registro dell’attività di 273 Laboratori di emodinamica e cardiologia interventistica del Paese.

I dati sono stati presentati  a Roma durante il congresso GISE Think Heart 2024.

Coronarografie e TAVI

Pur con oltre 300 mila coronarografie eseguite nel 2023, che in circa il 50% dei casi hanno portato all’esecuzione di un’angioplastica coronarica (156mila interventi lo scorso anno, tornando così quasi ai livelli pre-Covid), restano criticità nell’interventistica strutturale sulle valvole cardiache: le TAVI sono aumentate del 13%, ma solo un paziente candidabile su due viene sottoposto alla procedura e oltre 10 mila che ne avrebbero l’indicazione non la ricevono, con differenze regionali consistenti nella possibilità di accesso.

Altri Interventi di cardiologia interventistica

Sono stati circa 1.800 gli interventi di riparazione percutanea della valvola mitralica, in crescita del 20%, ma con un fabbisogno stimato di circa altri 6 mila.

Anche il ricorso alla procedura di chiusura percutanea dell’auricola sinistra, importante per la prevenzione dell’ictus, è aumentato del 20% ma con circa 2.300 interventi nel 2023 siamo lontani dal fabbisogno reale, considerando che sono più di 100mila i pazienti potenzialmente candidabili.

La fotografia della cardiologia interventistica in Italia

“I dati raccolti dal Report GISE, derivanti dall’attività del 93% dei centri di tutto il Paese, consentono di scattare una fotografia molto accurata della cardiologia interventistica in Italia – osserva Francesco Saia, presidente GISE – I risultati mostrano per esempio che l’88% dei centri offre il servizio 24 ore al giorno, 7 giorni su 7: un dato che conferma la distribuzione capillare sul territorio nazionale di un’infrastruttura essenziale per il trattamento tempestivo dell’infarto miocardico acuto e di altre cardiopatie acute, per le quali l’efficacia del trattamento è strettamente tempo-dipendente.

Restano tuttavia alcune criticità, perché, per esempio, sebbene le tecnologie di imaging e di studio funzionale siano in crescita, solo il 20% delle procedure di angioplastica complessivamente è guidato da questi metodi, molto sottoutilizzati rispetto alla media di Paesi europei come Germania, Francia, Spagna, Olanda e BENELUX.

I motivi sono soprattutto i vincoli economici per l’acquisizione degli strumenti necessari e l’assenza di codifica o tracciamento di queste tecniche, che, come GISE, vorremmo diffondere maggiormente in tutto il Paese”.

L'innovazione tecnologica in cardiologia interventistica

“La cardiologia interventistica rappresenta una delle aree in cui il processo di innovazione tecnologica è più rapido.

Per questo – osserva Marco Marchetti, responsabile Health Technology Assessment di AGENAS – un accesso veloce di tali dispositivi non può che essere legato ad un rigoroso e scientifico processo di valutazione HTA.

In proposito, a partire dal gennaio 2026, inizieranno le attività di valutazione HTA a livello europeo (Joint Clinical Assessment) che vedono anche il nostro paese impegnato”.

Il progetto pilota di GISE

Per migliorare ancora la qualità delle cure in Italia, per la prima volta il GISE propone di inserire nel Piano Nazionale Esiti un ‘cruscotto’ di indicatori di outcome che consenta di monitorare e soprattutto valutare le prestazioni di cardiologia interventistica, facilitando l’introduzione di tecnologie innovative e l’abbandono di quelle obsolete ma soprattutto favorendo in tutto il Paese una sempre maggiore appropriatezza, sostenibilità ed equità di accesso alle procedure.

La proposta di GISE per il futuro

Integrare il corrente panel di indicatori in ambito cardiovascolare con ulteriori indicatori di esito clinico e con indicatori che consentano l’identificazione dei principali fattori critici di successo è fondamentale.

Proponiamo per esempio di tenere conto non del singolo episodio di ricovero ma dell’intero flusso di cura, considerando tra gli altri elementi le complicanze o le riospedalizzazioni per recidiva dei sintomi – conclude Saia – O, ancora, proponiamo di inserire indicatori che valutino aspetti organizzativi e di processo per individuare le criticità con un impatto sugli esiti clinici, come le modalità di presa in carico e dimissioni secondo PDTA, e di utilizzare indicatori sull’impiego delle tecnologie per valutarne il contributo sugli esiti.

Tutto ciò consentirà di andare sempre più verso una terapia di valore, centrata sul paziente e che faciliti l’introduzione di tecnologie innovative disincentivando l’utilizzo di quelle obsolete e non più adeguate agli standard di efficacia, sicurezza ed economicità.

La sostenibilità e la resilienza del sistema sanitario passano inevitabilmente dalla capacità di programmare correttamente le risorse, garantire l’utilizzo delle tecnologie che permettono non solo il miglioramento degli outcome clinici ma anche di rispondere ai bisogni del sistema nel suo complesso: una corretta rilevazione di indicatori di processo, organizzativi e di outcome sarà fondamentale per la programmazione delle attività e la valutazione multidisciplinare delle tecnologie che aumentano la capacità del sistema e che saranno fondamentali per vincere le sfide sanitarie di oggi e domani”.

Fonte:

Nuove speranze per la SLA, successo del Tofersen in studio italiano

Un recente studio dei Centri Clinici NeMO ha portato nuove speranze per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). Monitorando pazienti con mutazione SOD-1, lo studio ha dimostrato l’efficacia del farmaco Tofersen, mostrando miglioramenti clinici e biologici significativi. I risultati, pubblicati su Journal of Neurology, confermano il potenziale di Tofersen nel trattamento della SLA.

Nuovi segnali di speranza dalla ricerca sulla SLA

Recenti sviluppi nella ricerca sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) offrono nuove speranze.

Un importante studio clinico condotto dai Centri Clinici NeMO ha fornito dati promettenti sull’efficacia del farmaco Tofersen.

La recente approvazione di Tofersen da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) è supportata da uno studio italiano che ha coinvolto il più alto numero di pazienti con mutazione SOD-1 nel nostro paese, osservati per il periodo più lungo finora.

Monitoraggio e raccolta dati

Il professor Mario Sabatelli, Direttore Clinico del Centro NeMO Roma, ha sottolineato l’importanza dei dati raccolti: “Questo studio sul campo, nella realtà della pratica clinica fornisce dati importanti e convincenti”.

Grazie alla rete dei Centri NeMO, è stato possibile monitorare 17 pazienti per un periodo di almeno un anno dopo la somministrazione di Tofersen.

Questo gruppo rappresenta una parte dei 27 pazienti che hanno avuto accesso al farmaco dal 2021 attraverso il programma di accesso anticipato.

Periodo di osservazione

La valutazione ha incluso un periodo di monitoraggio clinico di 12 mesi precedenti all’introduzione del farmaco, portando il totale a circa due anni di osservazione.

La dimensione del campione e il lungo periodo di studio sono significativi, data la rarità della mutazione SOD-1 (2-3% delle persone con SLA in Italia, circa 150 casi) e la complessità del decorso clinico della malattia.

Analisi dei risultati clinici

Federica Cerri, neurologa del Centro NeMO di Milano, ha evidenziato il valore dei risultati ottenuti: “Il valore dei risultati raggiunti è dato dalla possibilità di confrontare i dati clinici dello studio con i medesimi dati raccolti nella pratica clinica quotidiana nel periodo precedente l’assunzione del farmaco sperimentale”.

Questa continuità permette di tracciare due traiettorie distinte della malattia: prima e dopo il trattamento con Tofersen.

Pubblicazione e risultati clinici

I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Journal of Neurology, mostrano una stabilizzazione o un lieve miglioramento clinico per il 53% dei pazienti.

Ogni 12 settimane, i pazienti sono stati valutati utilizzando scale di valutazione clinica standardizzate (ALSFRS-R, FVC, MRC) per monitorare la funzionalità generale, la capacità respiratoria e la forza muscolare.

Impatto biologico del farmaco

Oltre ai miglioramenti clinici, la ricerca ha dimostrato che Tofersen ha un effetto positivo sul processo di degenerazione dei motoneuroni.

Questo è stato confermato dalla significativa riduzione dei neurofilamenti, proteine indicatrici della degenerazione, nell’82% dei pazienti.

Ciò suggerisce un impatto positivo del farmaco su almeno un sottogruppo di pazienti.

Reazioni e prospettive future

Fulvia Massimelli, Presidente nazionale di AISLA, ha espresso grande soddisfazione: “Questo risultato rinnova la nostra speranza nella ricerca, adesso attendiamo la rapida approvazione di AIFA”.

Ha anche ringraziato i Centri NEMO, considerati un punto di riferimento per la cura, la ricerca e l’assistenza sulla SLA e le malattie neuromuscolari.

I risultati confermano l’importanza della ricerca clinica e la sua capacità di migliorare concretamente la qualità della vita dei pazienti.

Per evitare le lunghe liste d’attesa in Irlanda, l’attore Dermot O’Neill ha sfruttato la direttiva 24/2011/UE.

La direttiva 24/2011/UE, emanata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea, ha lo scopo di facilitare l’accesso a servizi sanitari di alta qualità per i cittadini dell’UE in tutti gli Stati membri. Questa normativa permette ai pazienti di ricevere cure mediche in un altro paese dell’Unione e di ottenere il rimborso delle spese sanitarie, secondo le condizioni previste dal proprio sistema sanitario nazionale

La propensione degli anglosassoni a sfruttare le cure mediche transfrontaliere

I cittadini anglosassoni, particolarmente quelli dell’Irlanda e del Regno Unito, hanno dimostrato una spiccata propensione a sfruttare questa opportunità per ridurre i tempi di attesa e accedere a trattamenti medici di alta qualità all’estero.

Questo atteggiamento pragmatico si riflette nella crescente tendenza a rivolgersi a cliniche e ospedali in altri paesi dell’UE per interventi chirurgici e cure specialistiche, sfruttando i vantaggi offerti dalla direttiva.

Un esempio di questo fenomeno è la storia di Dermot O’Neill, star di Mrs. Brown’s Boys, che ha deciso di sottoporsi a un intervento all’anca in Spagna per evitare le lunghe liste d’attesa in Irlanda.

Dermot O'Neill si rivolge all'estero per un intervento all'anca

Dermot O’Neill, star di Mrs. Brown’s Boys, ha parlato apertamente della possibilità di sottoporsi a un intervento chirurgico all’anca all’estero, dopo essersi stancato delle lunghe liste d’attesa in Irlanda.

Intervento in Spagna

Il popolare attore, che interpreta il nonno nella pluripremiata serie comica, è stato sottoposto all’intervento con l’aiuto di Healthcare Abroad in un ospedale di Denia, vicino a Benidorm, evitando così un lungo periodo in lista d’attesa in Irlanda.

Esperienza positiva

Parlando del suo intervento chirurgico che gli ha cambiato la vita, Dermot ha detto: “Il loro servizio è 12 su 10 e tutti coloro che aspettano con dolore un intervento chirurgico dovrebbero collaborare con Healthcare Abroad per il trattamento.

Voglio che tutti sappiano di non essere nervosi per andare avanti e chiamarli perché non ve ne pentirete.”

Diffidenza iniziale

Il 71enne dublinese ha ammesso di aver inizialmente pensato che la compagnia fosse una truffa quando gli è stata proposta per la prima volta, ma il suo amico Willie Redmond lo ha convinto a iscriversi. “Quando ho sentito parlare per la prima volta di Healthcare Abroad, ho pensato che dovesse trattarsi di una truffa, ma ho chiamato il mio amico Wille Redmond che aveva già subito con loro un’operazione riuscita.

Con il suo appoggio ho pensato perché non chiamarli e sono così felice di averlo fatto.”

Condivisione dell'esperienza

Willie è venuto nello stesso momento per farsi operare al ginocchio, quindi è stato bello condividere insieme qualche risata curativa. “Credimi quando dico che tutto, durante l’intero processo, è stato brillante.”

Healthcare Abroad

Healthcare Abroad è un’agenzia logistica sanitaria irlandese che aiuta le persone a evitare i lunghi tempi di attesa per le cure in Irlanda, permettendo loro di ricevere cure all’avanguardia nei paesi dell’UE ai sensi della direttiva UE sull’assistenza sanitaria transfrontaliera.

L’agenzia mette in contatto i pazienti irlandesi con i migliori consulenti in 85 ospedali privati ​​in Spagna, Portogallo e Paesi Bassi.

A seconda della procedura, la maggior parte o tutti i costi vengono rimborsati completamente entro tre o quattro mesi.

Costi e rimborsi

La star della sitcom ha aggiunto: “Fin da quella prima telefonata hanno aiutato a coordinare tutto.

I costi dell’intervento sono rimborsabili e tutto ciò che devi coprire è il volo e il soggiorno in hotel.

La maggior parte delle cooperative di credito lavorerà con te per i fondi nel caso avessi bisogno di seguire questa strada.”

Cura completa

“Il team di Healthcare Abroad si è preso cura di me e di Chicki così bene dal momento in cui siamo atterrati fino al nostro ritorno a casa, e non possiamo dire abbastanza cose positive dell’intera esperienza.

Grazie a Healthcare Abroad ora posso godermi di nuovo la vita con la mia famiglia, lavorare senza dolori e magari riportare il mio handicap nel golf allo stato in cui era.”

L'intervento

“Tutto è andato liscio all’ospedale HCB di Denia, dove sono stato operato da un uomo adorabile, il dottor Henkel.

La fisioterapia post-operatoria in ospedale è stata splendida.

Usano la tecnologia per avviare il processo di guarigione praticamente senza dolore e tu sei in piedi e in movimento prima che tu te ne accorga.”

Difficoltà passate

Dermot aveva precedentemente raccontato di come la produzione di Mrs Brown’s Boys abbia dovuto montare una tenda a lato del palco perché non poteva più salire le scale fino al suo camerino.

“Hanno dovuto montare una piccola tenda nel backstage di tutti gli ultimi spettacoli dal vivo della signora Brown per farmi cambiare, perché non potevo salire le scale per raggiungere i camerini.

Quindi ogni notte stavo nella mia piccola tenda in attesa di partire.

Cause dei problemi all'anca

Dermot ha individuato i suoi problemi all’anca nel lavoro che svolgeva prima di unirsi alla squadra dei Mrs. Brown’s Boys.

Ha detto: “Ho lavorato come lavavetri per 20 anni prima di fare la signora Brown.

Un sacco le scale da salire.

Pulivo tutte le finestre di Temple Bar quando lì non c’erano altro che autobus.

Al Meyer ricostruito il naso a un bambino con stampa 3D

I medici dell’Irccs hanno lavorato a fianco degli ingegneri di T3Ddy per “copiare” il naso del gemello. Gli hanno ricostruito il naso progettandolo con l’ausilio della stampa 3D, “copiando” quello del fratellino gemello per ottenere un risultato quanto più possibile naturale.

Il caso clinico

È la storia di un bambino di 5 anni, operato con successo dal team di chirurghi dell’AOU Meyer Irccs, guidato dal dottor Flavio Facchini, specialista in Chirurgia Plastica e Ricostruttiva.

Nato prematuro alla 28esima settimana di gravidanza, il piccolo era privo della piramide nasale a seguito di una complicanza perinatale: di fatto il suo volto risultava senza nasino, con solo due buchini per respirare.

I genitori si sono rivolti al Meyer per iniziare la ricostruzione il prima possibile, per evitare al bambino la grande sofferenza emotiva e le difficoltà sociali a cui sarebbe andato incontro senza un intervento tempestivo.

Tecnologie utilizzate

Utilizzando le moderne tecnologie di scansione 3D è stato possibile acquisire la geometria del volto del gemello.

La forma del naso è stata utilizzata per progettare e stampare strumenti di ausilio al chirurgo: grazie alla tecnologia 3D sono state stampate delle “sagome” che – proprio come fossero delle dime di taglio – sono servite per prelevare frammenti di cartilagine costale del bambino con altissima precisione, rendendo l’intervento il meno invasivo possibile.

Questi frammenti sono stati assemblati, un po’ come le tessere di un puzzle, per costruire l’impalcatura ossea e cartilaginea della piramide nasale, successivamente ricoperta con lembi cutanei prelevati dalla fronte e dal tessuto mucoso del piccolo.

Maschera trasparente e risultati dell’intervento

Non solo: sempre utilizzando le immagini 3D del volto del fratello, è stata realizzata anche una maschera trasparente sterile in 3D, che durante l’intervento ha consentito di verificare la perfetta corrispondenza delle dimensioni.

Il primo intervento è durato oltre 7 ore, seguito da un secondo di rifinitura: entrambi sono riusciti perfettamente, il piccolo sta bene, è già a casa ed è tornato all’asilo.

Testimonianza della famiglia

Racconta la mamma: “Fin dal primo contatto avuto con il dottor Facchini e il suo team abbiamo avuto la percezione di poterci affidare totalmente al Meyer: abbiamo trovato una disponibilità ed un’umanità incredibili, ci hanno accompagnati all’intervento con incontri periodici, affiancandoci e rispondendo a tutte le nostre domande.

È andato tutto benissimo, questo incontro con il Meyer ha restituito al nostro bambino sicurezza in se stesso e la speranza di una vita normale, come quella del suo gemello: guardandosi adesso dice ‘Ora sono davvero come il mio fratellino e i miei compagni!’”.

Collaborazione e innovazione

Tutto questo è stato possibile grazie alla collaborazione tra i chirurghi del Meyer e T3Ddy (www.t3ddy.org), il laboratorio sostenuto dalla Fondazione Meyer, coordinato dalla professoressa Monica Carfagni per l’Unifi e dall’ing. Kathleen McGreevy per il Meyer, dedicato proprio all’introduzione di tecnologie 3D innovative nella pratica clinica.

In sala, insieme al dottor Facchini, c’era la chirurga pediatrica Alessandra Martin, oltre ad anestesisti e infermieri, questi ultimi formati con un corso ad hoc in preparazione agli interventi di questo tipo.

Preparazione Pre-Operatoria

In fase pre-operatoria, ingegneri e medici hanno lavorato fianco a fianco: partendo dalla scansione 3D, gli ingegneri di T3Ddy, guidati dal prof. Yary Volpe, hanno ottimizzato il design della ricostruzione per adattarlo perfettamente alla conformazione specifica del paziente, identica a quella del gemello.

Eseguendo una replica stampata in 3D del volto, è stato possibile simulare l’intero intervento due volte prima dell’esecuzione reale in sala operatoria.

Fonte:

Un farmaco per la rigenerazione dei denti

Un’iniezione per ripristinare i denti a chi li ha persi o non li ha mai avuti. Questa è la promessa di Toregem Biopharma, una start-up giapponese nata quattro anni fa dall’Università di Kyoto, che sta sviluppando un farmaco anticorpale definito come “il primo al mondo per la ricrescita dei denti”.

Sperimentazione clinica al via

Un farmaco per far ricrescere i denti: la sperimentazione clinica inizierà a settembre 2024 e durerà fino ad agosto 2025.

La terapia funziona disattivando una proteina chiamata Usag-1, che inibisce la crescita dei denti.

Nella fase 1 dei test sull’uomo, il farmaco verrà somministrato per via endovenosa a trenta adulti sani di età compresa tra 30 e 64 anni.

Il requisito per l’arruolamento è la mancanza di almeno un dente posteriore.

Fasi successive e target giovani

Una volta confermata la sicurezza del farmaco, si passerà alla fase successiva, con la somministrazione a bambini di età compresa tra 2 e 7 anni ai quali mancano almeno quattro denti dalla nascita.

La carenza congenita di denti interessa circa l’1% della popolazione, mentre circa lo 0,1% soffre di oligodontia, una condizione che comporta l’assenza di 6 o più denti.

I ricercatori sperano di poter far crescere i denti non solo nelle persone con patologie congenite, ma anche in coloro che li hanno persi a causa di carie o lesioni.

Il Team di ricerca

Il medicinale è stato sviluppato grazie agli studi di Katsu Takahashi, del dipartimento di chirurgia orale e maxillo-facciale della Kyoto University.

Takahashi, co-fondatore di Toregem e direttore del dipartimento di odontoiatria e chirurgia orale del Kitano Hospital di Osaka, dichiara: “Vogliamo fare qualcosa per aiutare coloro che soffrono di perdita o assenza di denti.

Sebbene finora non sia disponibile una cura permanente, crediamo che le aspettative delle persone in questo senso siano elevate”.

Esperienza personale della Presidente Kiso

La presidente di Toregem Biopharma, Honoka Kiso, ha condiviso un’esperienza personale sul sito dell’azienda: “Quando ero alle scuole superiori ho perso due denti a causa di una patologia dell’osso mandibolare e ho subito un intervento chirurgico.

Quell’esperienza mi ha spinto a diventare dentista e, durante l’università, mi sono sottoposta a un impianto dentale“.

“Volevo studiare la causa della mia malattia – ha aggiunto Kiso – e capire come rigenerare i denti persi, così ho frequentato la scuola di specializzazione nel 2008 e ho partecipato alle ricerche del dottor Takahashi.

Durante gli studi preclinici, osservando i topi modello di carenza dentale, ai quali il farmaco sperimentale era stato somministrato, ho visto crescere i denti.

Successivamente, l’efficacia è stata confermata nei cani e ora si passerà all’uomo.”

Obiettivi futuri

Voglio assolutamente arrivare a offrire ai pazienti questa terapia“, afferma Kiso.

Un farmaco che “fa crescere i denti con una singola iniezione, in sicurezza”.

Una svolta per la vitiligine, approvato nuovo farmaco

L’approvazione dell’AIFA del primo trattamento per la vitiligine segna un traguardo significativo. Con oltre 330 mila persone colpite solo in Italia, la vitiligine è una sfida medica e sociale. Il nuovo farmaco promette di migliorare la vita dei pazienti.

Approvata la rimborsabilità del primo trattamento per la vitiligine

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha recentemente approvato la rimborsabilità del primo e unico principio attivo in grado di agire sul meccanismo alla base della vitiligine, una malattia autoimmune della pelle.

Questo farmaco permette la repigmentazione della pelle sia sul viso che sul corpo, fornendo una nuova speranza a oltre 330 mila persone in Italia colpite da questa condizione.

Impatto sociale, psicologico ed emotivo della vitiligine

La vitiligine, caratterizzata da macchie bianche evidenti sulla pelle, non solo influisce sulla salute fisica ma anche sulla qualità della vita dei pazienti.

In Italia, oltre alla visibilità delle macchie, la malattia si associa spesso ad altre problematiche come le malattie tiroidee, le malattie infiammatorie croniche intestinali, il diabete e l’alopecia areata.

Questo rende l’approvazione di un trattamento specifico un importante passo avanti nella gestione della vitiligine.

Il ruolo della molecola Ruxolitinib 15 mg/g

La molecola Ruxolitinib 15 mg/g, commercializzata con il nome di Opzelura, appartiene alla categoria dei JAK inibitori, già utilizzati con successo in oncologia e in diverse malattie dermatologiche.

Gli studi clinici di fase III hanno dimostrato la sua efficacia e sicurezza nel migliorare la repigmentazione della pelle nei pazienti affetti da vitiligine non segmentale, a partire dai 12 anni di età.

Prescrizione e distribuzione del farmaco

Il farmaco, prodotto da Incyte, è soggetto a prescrizione medica limitativa e sarà disponibile per l’acquisto solo attraverso prescrizioni emesse da centri ospedalieri o specialisti dermatologi.

È il primo trattamento approvato nell’Unione Europea che consente la repigmentazione in pazienti idonei con vitiligine non segmentale, la forma più comune della malattia.

Efficacia e sicurezza della crema Ruxolitinib

Gli studi clinici hanno evidenziato che la crema Ruxolitinib è efficace nel raggiungere gli obiettivi di repigmentazione della pelle, con risultati significativamente superiori rispetto alle terapie non medicate.

La sua tollerabilità è stata confermata, con il principale evento avverso riportato come una reazione acneica.

Rivoluzione nel panorama dei trattamenti per la vitiligine

Prima dell’arrivo di Ruxolitinib, i trattamenti disponibili per la vitiligine erano limitati e non sempre soddisfacenti, con frequenti eventi avversi.

Questo nuovo approccio terapeutico offre ai pazienti un beneficio clinico significativo e duraturo, promettendo di migliorare notevolmente la loro qualità di vita.

Impatto emotivo e sociale della disponibilità di un trattamento specifico

L’approvazione di un trattamento specifico per la vitiligine rappresenta una svolta fondamentale per migliaia di pazienti e le loro famiglie.

Fornire loro una prospettiva di cura concreta può ridurre l’ansia e la depressione associate alla malattia, offrendo loro una nuova speranza e un senso di fiducia nel futuro.

Fonte:

UE approva la prima insulina settimanale per il trattamento del diabete negli adulti

La Commissione Europea ha recentemente approvato Awiqli, la prima insulina settimanale al mondo, per il trattamento del diabete negli adulti. Questa innovazione, sviluppata da Novo Nordisk, promette di rivoluzionare la gestione della malattia diabetica, migliorando la qualità della vita dei pazienti e offrendo vantaggi ambientali significativi.

Autorizzazione della Commissione Europea

La Commissione Europea (CE) ha concesso l’autorizzazione per l’insulina settimanale, Awiqli di Novo Nordisk, la prima al mondo indicata per il trattamento del diabete negli adulti.

“Il farmaco – spiega una nota – è progettato per coprire il fabbisogno di insulina basale per un’intera settimana con una singola iniezione sottocutanea ed è stato approvato per gli adulti con diabete mellito”.

Novo Nordisk ha inoltre ricevuto le approvazioni normative per Awiqli in Svizzera e Canada per il trattamento sia del diabete di tipo 1 che del diabete di tipo 2 negli adulti.

Impatto della terapia insulinica quotidiana

Oggi la terapia insulinica prevede che il paziente si somministri l’insulina almeno una volta al giorno, con un impatto che va dalla gestione della terapia stessa alla sfera sociale, lavorativa e psicologica della persona e delle loro famiglie.

Questo è legato in particolare alla necessità di dover monitorare e gestire la malattia quotidianamente e di dover programmare l’intera giornata in base a questo.

Il numero di iniezioni può rappresentare un ostacolo importante in termini di qualità di vita e di aderenza alla terapia: i dati mostrano che il 50% delle persone con diabete, che necessitano di terapia insulinica, ritardano di oltre due anni l’inizio del trattamento, con ripercussioni sulla gestione della malattia e delle sue complicanze.

Efficacia clinica dell’insulina settimanale

Negli studi clinici di fase 3, l’insulina settimanale ha permesso una riduzione della glicemia (misurata come variazione dell’HbA1c) rispetto all’insulina basale giornaliera, favorendo il controllo glicemico nelle persone con diabete di tipo 2.

Vantaggi ambientali e sociali

“Le malattie croniche non trasmissibili sono collegate agli stili di vita e al contesto in cui si vive, con un impatto anche sulla qualità delle relazioni sociali.

L’ambiente è ormai considerato a tutti gli effetti un determinante di salute soprattutto quando si parla di cronicità – continua la nota.

Anche in quest’ottica, una terapia che passa da una somministrazione giornaliera ad una settimanale, con un considerevole risparmio del numero di penne utilizzate, offre una risposta concreta in tema di sostenibilità ambientale, favorendo la riduzione delle emissioni di CO2”.