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La mobilità sanitaria in Italia evidenzia un divario sempre più ampio tra Nord e Sud, con oltre 5 miliardi di euro che ogni anno finanziano cure fuori Regione. Questo fenomeno, che inizialmente riguardava cure d’eccellenza, oggi coinvolge anche prestazioni di routine, aggravando le disuguaglianze nell’accesso alla sanità pubblica.
Un disequilibrio da 5 miliardi di Euro
La bilancia della mobilità sanitaria italiana pende nettamente a favore del Nord, che beneficia di oltre 5 miliardi di euro derivanti dai pazienti del Sud costretti a migrare per ricevere cure adeguate.
Questo flusso, quasi totalmente a senso unico, è determinato dalla presenza di centri d’eccellenza in alcune Regioni settentrionali, mentre il Meridione fatica a garantire servizi sanitari efficienti.
Il divario tra Nord e Sud si sta ampliando, con un impatto significativo sulla qualità dell’assistenza sanitaria nazionale.
Chi guadagna e chi perde nella mobilità sanitaria
Le Regioni settentrionali, in particolare Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, concentrano il 94,1% della mobilità attiva, ossia l’afflusso di pazienti da altre Regioni.
Al contrario, il 78,8% delle risorse perse proviene da Abruzzo, Calabria, Campania, Sicilia, Lazio e Puglia, che registrano un saldo negativo pesante.
Secondo i dati della Fondazione Gimbe, nel 2022 la spesa per la mobilità sanitaria ha raggiunto i 5,04 miliardi di euro, segnando un aumento del 18,6% rispetto ai 4,25 miliardi del 2021.
Un incremento che non può essere attribuito solo agli effetti della pandemia, ma che riflette una crescente disparità nell’offerta dei servizi sanitari regionali.
Non più una scelta, ma una necessità
Secondo il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino, ma una necessità dettata dalle profonde disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Sempre più italiani sono costretti a spostarsi per ricevere trattamenti anche di routine, come una frattura di femore, non solo per cure d’avanguardia in centri specializzati.
Questo comporta un peso economico, psicologico e sociale significativo per i pazienti e le loro famiglie.
Sanità Pubblica vs Privata
Oltre la metà delle risorse destinate alla mobilità sanitaria va al settore privato accreditato.
L’indagine Gimbe rivela che 1,879 miliardi di euro (pari al 54,4% della spesa totale) sono stati spesi in strutture private, contro 1,573 miliardi destinati agli ospedali pubblici del Servizio Sanitario Nazionale.
Questo evidenzia come la sanità privata stia intercettando una fetta sempre più rilevante delle cure fuori Regione, aggravando ulteriormente le disparità.
Diritto alla salute a rischio
Le implicazioni di questa situazione sono allarmanti.
La mobilità sanitaria riflette le enormi disparità regionali nel diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
Cartabellotta sottolinea la necessità di interventi urgenti per riequilibrare il sistema e garantire a tutti i cittadini italiani cure adeguate, indipendentemente dalla Regione di residenza.
Tuttavia, il rischio di un ulteriore peggioramento è concreto, soprattutto con l’introduzione dell’autonomia differenziata, che potrebbe cristallizzare le disuguaglianze esistenti.
Regioni in attivo e in passivo
Lombardia (22,8%), Emilia-Romagna (17,1%) e Veneto (10,7%) attraggono il maggior numero di pazienti da fuori Regione, seguite da Lazio, Piemonte e Toscana.
Al contrario, le Regioni che registrano i maggiori debiti per cure erogate altrove sono Lazio (11,8%), Campania (9,6%) e Lombardia (8,9%), ciascuna con un saldo negativo superiore ai 400 milioni di euro.
Nel dettaglio:
- Regioni con saldo positivo:
- Lombardia (+623,6 milioni),
- Emilia-Romagna (+525,4 milioni),
- Veneto (+198,2 milioni).
- Regioni con saldo negativo:
- Campania (-308,4 milioni),
- Calabria (-304,8 milioni),
- Sicilia (-241,8 milioni),
- Puglia (-230,2 milioni),
- Lazio (-193,4 milioni),
- Abruzzo (-104,1 milioni).
La correlazione tra qualità dei servizi e mobilità sanitaria
Dai dati emerge che le Regioni con una mobilità sanitaria attiva più elevata sono anche quelle con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea).
Le prime cinque Regioni per punteggio totale Lea rientrano tra le prime sei per saldo positivo della mobilità sanitaria, mentre quasi tutte le Regioni con un Lea inferiore alla media nazionale registrano saldi negativi.
Questo conferma che la qualità dell’assistenza influisce direttamente sul fenomeno della migrazione sanitaria.
Il Trend rischia di peggiorare
Nonostante i dati analizzati si riferiscano al 2022, la situazione nel 2023 non mostra segnali di miglioramento.
Secondo l’ultimo report di Agenas, solo per i ricoveri ospedalieri la mobilità ha già superato i 3 miliardi di euro.
Le iniziative del Governo, come gli accordi tra Regioni confinanti per limitare la migrazione sanitaria, sono ancora scarse e non producono effetti immediati.
Fattori che aumentano la mobilità sanitaria
Oltre alle differenze nell’offerta sanitaria, vi sono altri fattori che contribuiscono all’aumento della mobilità.
Ad esempio, alcuni specialisti lavorano in Regioni con servizi sanitari più deboli, come la Calabria e la Puglia, per poi spostarsi nei grandi ospedali del Nord, trascinando con sé i pazienti.
Inoltre, la presenza di strutture ambulatoriali al confine tra due Regioni spesso attira pazienti da aree limitrofe, incrementando ulteriormente il flusso di mobilità sanitaria..