Mezzo milione di malati in fuga verso il Nord per cure migliori

La riforma dell’autonomia differenziata potrebbe aggravare una tendenza già preoccupante. Attualmente, la maggior parte dei malati si sposta per ricevere cure di media complessità. Le regioni più colpite da questo fenomeno sono Calabria, Campania, Sicilia e Puglia.

Viaggi della speranza

Partono con le loro preoccupazioni e il loro desiderio di guarire, spesso insieme a familiari o amici.

Si spostano per curarsi, in molti casi perché cercano centri di eccellenza oppure perché non si fidano dell’assistenza nella loro Regione.

Circa mezzo milione di italiani ogni anno intraprendono quelli che un tempo si chiamavano, con una brutta espressione, viaggi della speranza.

Di solito, il flusso di malati è dal Sud verso il Nord, anche se va ricordato che nel dato generale ci sono anche coloro che si muovono nella Regione confinante alla propria semplicemente perché lì si trovano le strutture sanitarie più vicine a dove abitano.

I timori per l’autonomia differenziata

Certi viaggi si svolgono perché, a ragione o a torto, si ritiene che in certe Regioni le cure siano migliori.

Proprio per questo, il timore di medici, sindacati, e ricercatori è che con la riforma dell’autonomia differenziata, che farà crescere di più le realtà locali già forti e metterà in difficoltà le più deboli, la cosiddetta mobilità sanitaria diventi ancora più frequente.

«Gli spostamenti in sé non sono legati alla ricchezza del bilancio delle Regioni ma più che altro alla efficienza di presa in carico del paziente», dice Francesco Perrone, il presidente dell’Associazione di oncologia medica Aiom, che lavora al Pascale di Napoli ed è stato uno dei 14 firmatari (tra i quali il Nobel Giorgio Parisi) di un appello per il sistema sanitario che ha avuto enorme risonanza.

«Chi è malato non può umanamente reggere liste di attesa troppo lunghe, quindi ha bisogno che la Regione dove vive sia organizzata. Sennò va via. In questo periodo il Meridione sta migliorando, i segnali ci sono».

La riforma potrebbe bloccare la crescita. «I timori riguardano la concorrenza tra vari servizi pubblici per il personale. Se le Regioni ricche pagano un giovane medico il triplo, le povere avranno enormi problemi a reclutare i professionisti, compresi gli infermieri. Questo ricadrebbe pesantemente su tutto il sistema e direttamente sulla salute dei pazienti». Che tra l’altro si sposteranno di più, verso Nord.

Non è preoccupato il ministro alla Salute Orazio Schillaci, che ha spiegato come «l’autonomia differenziata già esiste in sanità. Le Regioni hanno grande autonomia, in questo settore cambierà poco. Ma può essere uno stimolo per migliorare per chi, magari, non è stato particolarmente performante negli ultimi anni».

Dalla Calabria il 50% dei malati

I dati di Agenas, l’Agenzia nazionale sanitaria delle Regioni, sui flussi 2022 smentiscono alcuni luoghi comuni.

La maggior parte di chi si sposta (328 mila malati) lo fa infatti per ricevere cure di media complessità.

Quelle di alta complessità riguardano 94 mila persone.

Poi ci sono 72 mila cittadini che si muovono per prestazioni considerate a rischio inappropriatezza, cioè che potrebbero essere inutili.

In oncologia più di un paziente su dieci, cioè 28 mila su 240 mila, cambia Regione per curarsi.

La realtà più attrattiva, come noto, è la Lombardia, che assiste quasi 8.400 malati di cancro in arrivo da fuori, ai quali dedica il 18% della sua attività in questo campo. Seguono il Veneto con 4.200 (16%), il Lazio con 4 mila (15%), la Toscana con 2.600 (13%) e l’Emilia-Romagna con 2.100 (11%).

Le fughe più significative si hanno da Campania (3.380 e cioè il 18% dei malati), Calabria (3.200 e addirittura il 50% dei malati), Sicilia (2.400 e 16%) e Puglia (2.300 e 14%), che però esercita anche attrazione in entrata e così ha il saldo tra chi esce e chi arriva meno pesante di tutto il Sud.

Perrone a suo tempo si era espresso contro la riforma. «Ora però ci vuole buonsenso, visto che il Parlamento la ha approvata. Vediamo che ruolo avrà il governo, e nel nostro caso il ministero alla Salute, nel mettere in campo contrappesi e misure di garanzia dell’equità.

Qualche segnale c’è.

Noi, come oncologi, siamo pronti a collaborare con tutti».

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