Congresso SIOT 2024 tra innovazione e tecnologica

Il 107° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) riunisce a Roma esperti italiani e internazionali per discutere le ultime innovazioni in ortopedia, tra cui intelligenza artificiale, chirurgia robotica e protesi personalizzate. L’evento prevede la partecipazione di specialisti da tutto il mondo e due Guest Nation, Brasile e Colombia, per arricchire il giorno

Innovazioni in ortopedia al Congresso SIOT 2024

L’edizione 2024 del Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT) si terrà a Roma dal 29 al 31 ottobre, con un focus su temi all’avanguardia in ortopedia e traumatologia.

Tra gli argomenti trattati: intelligenza artificiale, chirurgia robotica, ortobiologia, medicina rigenerativa, e ritorno all’attività sportiva dopo lesioni legamentose al ginocchio.

L’evento accoglie illustri esperti italiani e internazionali, nonché società scientifiche di rilievo come l’American Academy of Orthopaedic Surgeons e l’European Federation of National Associations of Orthopaedics and Traumatology.

Novità dell'edizione: Guest Nation e SIOT 24 Experience

Quest’anno, per la prima volta, il Congresso SIOT ospiterà le “Guest Nation”, rappresentate da Brasile e Colombia. “Abbiamo voluto arricchire il Congresso con il contributo di relatori internazionali”, spiegano Francesco Benazzo e Pietro Cavaliere, Presidenti del Congresso, sottolineando l’importanza del confronto globale per una crescita reciproca.

Inoltre, è stata introdotta la “SIOT 24 Experience”: un programma educativo dedicato a oltre 50 specializzandi, selezionati dalle principali scuole di ortopedia. Questo percorso formativo, che durerà tutti i tre giorni del Congresso, consentirà ai giovani medici di seguire dibattiti e sessioni pensate appositamente per loro.

Cerimonia inaugurale e Lectio Magistralis

La cerimonia inaugurale del Congresso si aprirà con una Lectio Magistralis intitolata “ITALIA: IL NUOVO MELTING POT IN EUROPA? Il futuro dell’ortopedia nella nuova società italiana”.

La sessione vedrà la partecipazione di Javad Pavizi, rinomato ortopedico e migrante dall’Iran, e di Vincenzo Denaro, Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.

L’intervento sarà un’opportunità per esplorare le sfide e le opportunità della nuova società italiana in ambito ortopedico.

Obiettivi del Congresso SIOT 2024

Il Congresso SIOT è un’occasione unica di confronto tra esperti e di scambio di studi ed esperienze. “Questo evento è un momento di sintesi sulle tematiche più rilevanti in ortopedia e traumatologia”, spiega Alberto Momoli, Presidente SIOT. Anche Pietro Randelli, Vice Presidente SIOT, evidenzia come il Congresso sarà incentrato sulle nuove tecnologie e sul ruolo crescente della precisione in sala operatoria, con un focus su chirurgia robotica e protesi personalizzate.

Focus sulle protesi della caviglia

Secondo Bruno Magnan, Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia di Verona, gli interventi di protesi di caviglia stanno crescendo in Italia, ma sono ancora limitati rispetto ad altre protesi articolari.

Le innovazioni includono strumentazioni specifiche per il paziente (PSI) e protesi su misura, ideali per casi complessi, come perdite ossee post-traumatiche o tumorali.

Le protesi rappresentano un passo verso la precisione chirurgica personalizzata e la robotica.

Il ruolo dell'intelligenza artificiale in ortopedia

L’Intelligenza Artificiale (AI) sta rivoluzionando l’ortopedia, come evidenziato da Erika Maria Viola, UOC Ortopedia e Traumatologia di Cremona.

L’AI supporta i medici con analisi predittive, diagnosi avanzate e tecniche innovative per il trattamento delle patologie muscolo-scheletriche.

L’uso dell’AI permette di personalizzare i percorsi di guarigione e monitorare i risultati in modo oggettivo, contribuendo ad elevare gli standard di cura attraverso decisioni basate su esperienze condivise e tecnologie all’avanguardia.

Scoperta la cellula ingegnere che crea nuove arterie dopo l’infarto

Dopo un infarto, il cuore può tentare di autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni, ma spesso questi non sono sufficienti. Uno studio coordinato da Elena Cano ha identificato una cellula “primordiale” capace di creare arterie, offrendo una nuova speranza per migliorare la circolazione e limitare i danni cardiaci post-infarto.

Il problema della riparazione cardiaca dopo un infarto

Dopo un infarto, le cellule della zona colpita dall’ischemia prolungata muoiono a causa della mancanza di ossigeno e soprattutto di sangue, che normalmente fluisce attraverso piccoli vasi.

In alcuni casi, il miocardio riesce ad autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni attorno alla zona danneggiata, ma spesso questi non sono sufficienti.

Ci vorrebbero arterie più grandi e potenti per garantire un nutrimento adeguato al cuore.

Questo è il sogno di molti ricercatori, e grazie a uno studio coordinato da Elena Cano, c’è speranza che diventi realtà.

Le cellule di "punta"

Gli studiosi hanno identificato un particolare tipo di cellula, chiamata “pre-arteriosa”, che svolge un ruolo chiave nella formazione di nuovi vasi sanguigni.

Queste cellule sono considerate precursori di nuove arterie, capaci di rispondere a segnali ambientali e guidare la crescita dei vasi in direzioni specifiche.

Studi condotti su animali hanno rivelato che queste cellule erano già indirizzate a svilupparsi come arterie, contraddicendo l’idea che le arterie si formassero solo in risposta al fluido che le attraversa.

Questo studio ha dimostrato che le cellule pre-arteriose acquisiscono le caratteristiche delle arterie prima ancora che il sangue inizia a fluire al loro interno.

Meccanismi di rigenerazione cardiaca

I ricercatori hanno confrontato il comportamento delle cellule pre-arteriose negli animali e negli esseri umani, utilizzando tessuti cardiaci embrionali umani.

Hanno scoperto che il meccanismo di formazione delle nuove arterie è conservato non solo durante lo sviluppo embrionale, ma anche dopo un infarto.

Questo meccanismo potrebbe essere la chiave per stimolare la rigenerazione delle arterie coronariche, aprendo nuove possibilità terapeutiche per limitare i danni al miocardio e migliorare la circolazione sanguigna nell’area colpita dall’ischemia.

Speranze per il futuro

Nonostante i grandi progressi ottenuti nel ridurre l’estensione degli infarti tecniche attraverso come l’angioplastica, i tentativi di rigenerare il muscolo cardiaco danneggiato hanno avuto esiti deludenti.

La sfida principale è garantire che le cellule staminali possano attaccarsi nel tessuto cicatriziale e ricevere il giusto apporto di sangue e ossigeno.

Le cellule pre-arteriose presenti in questo studio potrebbero essere un passaggio cruciale per la creazione di nuovi vasi sanguigni all’interno del tessuto danneggiato, facilitando così la rigenerazione del muscolo cardiaco e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Fonte:

Primo trapianto in Italia di cuore e fegato salva donna di 38 anni

Una donna di 38 anni, affetta da una grave cardiopatia congenita, ha subito un intervento pionieristico presso l’ospedale Molinette di Torino. Per la prima volta in Italia, è stato eseguito un trapianto di blocco multiorgano cuore-fegato, salvandole la vita. Grazie alla perfetta sincronizzazione di un’équipe multidisciplinare e alla donazione di un organo compatibile, l’intervento rappresenta un traguardo medico senza precedenti.

Un caso di cardiopatia congenita grave

La sua unica speranza di sopravvivenza era un trapianto, e nei giorni scorsi, presso l’ospedale Molinette di Torino, è stato eseguito per la prima volta in Italia un trapianto di blocco multiorgano cuore-fegato.

La paziente, originaria di Roma, a causa della malattia cardiaca aveva sviluppato nel tempo un danno sempre più grave al fegato.

Per questo motivo, era stata inserita nella lista nazionale dei trapianti urgenti, che ha consentito di trovare in breve tempo un donatore compatibile per entrambi gli organi.

Il trapianto innovativo

L’eccezionalità dell’intervento, eseguito dall’équipe multidisciplinare trapianti di Torino, risiede nell’aver mantenuto la normale connessione del cuore con il fegato, trapiantando il blocco come un unico organo.

Questo approccio ha permesso di ridurre al minimo i tempi di sofferenza ischemica degli organi, migliorando significativamente la loro funzione subito dopo il trapianto.

Tuttavia, la complessità dell’intervento ha richiesto una perfetta collaborazione tra i vari specialisti coinvolti.

Da un lato, il team di specialisti lombardi lavorava sul donatore, mentre dall’altro, i cardiochirurghi e epatochirurghi torinesi preparavano la paziente a ricevere il blocco cuore-fegato.

L'equipe chirurgica

Il team chirurgico è stato guidato dal professor Mauro Rinaldi, direttore della Cardiochirurgia delle Molinette, insieme al dottor Carlo Pace Napoleone, direttore della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, al professor Massimo Boffini e alla dottoressa Erika Simonato.

Durante l’intervento, il cuore malato è stato isolato e rimosso.

Contemporaneamente, il professor Renato Romagnoli, direttore del Dipartimento Trapianti e Chirurgia del Fegato, con il supporto del dottor Paolo Strignano, rimuovevano il fegato malato. Il team di anestesisti, composto dal dottor Alberto Orsello, dalla dottoressa Francesca Momigliano e dal dottor Angelo Panio, ha fornito supporto costante durante l’operazione.

Un intervento complesso

Durante l’intervento, la paziente è stata mantenuta in vita grazie alla circolazione extracorporea assicurata dalla macchina cuore-polmoni.

Quando i chirurghi hanno completato il collegamento vascolare degli organi trapiantati, sia il nuovo cuore che il nuovo fegato hanno ripreso immediatamente a funzionare.

L’intera procedura ha avuto una durata superiore alle dodici ore e si è conclusa con successo.

Il decorso post-operatorio

Attualmente, la paziente è sveglia, lucida e respira autonomamente.

Il dottor Giovanni La Valle, direttore generale della Città della Salute di Torino, ha commentato l’eccezionalità del trapianto: “Questo intervento innovativo conferma l’eccellenza a livello internazionale della nostra Azienda Ospedaliero-Universitaria. La consolidata collaborazione tra i vari programmi di trapianto attivi in Azienda, già abituati a eseguire trapianti combinati, ha permesso di raggiungere questo nuovo importante traguardo, offrendo cure sempre più efficaci per pazienti gravemente malati. Il tutto è stato possibile grazie alla donazione di organi e sangue, essenziali per interventi di tale portata.”

Fonte:

Primo intervento robotico transcontinentale eseguito da un chirurgo italiano

Per la prima volta nella storia, è stato eseguito un intervento transcontinentale di chirurgia robotica a distanza per l’asportazione di un tumore al rene. La notizia è stata diffusa dalla Fondazione Puigvent di Barcellona, che ha comunicato la conclusione positiva dell’operazione.

Il chirurgo e l'intervento

Il chirurgo che ha condotto l’intervento con successo è Alberto Breda, un medico italiano primario di Urologia Oncologica e membro dell’équipe chirurgica dei Trapianti Renali della fondazione spagnola.

Breda ha operato a distanza un paziente situato a Pechino, in Cina, mentre si trovava all’auditorium di Bordeaux per partecipare alla 21esima riunione annuale della Società Europea di Urologia (Eau), di cui è presidente.

Dettagli dell'operazione

Il paziente, un uomo di 37 anni con un tumore al rene di 3,5 centimetri, era ricoverato presso l’Ospedale Generale Pla di Pechino.

L’intervento è avvenuto con l’ausilio del sistema robotico Edge, con cui Breda ha controllato i bracci robotici a distanza da una console.

Nonostante la distanza, il tempo di ritardo nella trasmissione dei comandi è stato di soli 132 millisecondi.

Il paziente è stato dimesso il giorno successivo e sta proseguendo la convalescenza.

Sfide tecnologiche e il ruolo delle reti di telecomunicazioni

Una delle maggiori sfide riscontrate nell’intervento è stata la latenza causata dalla lunga distanza.

Come sottolineato dalla Fondazione Puigvent, lo sviluppo delle reti di telecomunicazioni, in particolare delle reti 5G e in fibra ottica, sarà cruciale per il futuro della telechirurgia.

L’evoluzione e l’adattamento dei sistemi robotici rappresentano un altro fattore chiave per migliorare l’efficienza di questo tipo di operazioni.

Commento del dottor Breda

Alla fine dell’operazione, il dottor Breda ha espresso grande soddisfazione per il risultato ottenuto, definendo l’intervento un momento storico.

Ha inoltre evidenziato l’importanza della collaborazione internazionale e ha sottolineato come questo traguardo dimostri la diversità nella pratica della medicina moderna.

Una mano robotica a controllo magnetico messa a punto a Pisa

Daniel, 34enne lombardo, ha perso la mano sinistra in un incidente due anni fa. Oggi, grazie a un rivoluzionario arte robotica a controllo magnetico, sviluppato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è tornato a compiere gesti quotidiani con naturalezza. Questa protesi innovativa rappresenta un importante passo avanti nel campo delle tecnologie bioniche, offrendo nuove speranze per chi ha subito amputazioni.

Daniel e la sua nuova vita con un arto robotico

Dopo aver perso la mano sinistra in un incidente dovuto anni fa, ha testato per sei settimane un arto robotico a controllo magnetico, il primo al mondo.

Con esso, è tornato a compiere gesti quotidiani come aprire barattoli, tagliare con un coltello, chiudere una zip e usare un coltello.

Questo straordinario progresso è stato reso possibile grazie a un team di ricercatori dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha pubblicato i risultati su Science Robotics .

Il gruppo di ricerca è stato guidato dal professor Christian Cipriani.

Un nuovo inizio dopo il dramma

Daniel racconta come l’incidente del 2022 abbia improvvisamente cambiato la sua vita. “Un momento prima avevo la mano, e il momento dopo era scomparsa” ricorda.

Nonostante la perdita, Daniel continuava a percepire la mano e i muscoli residui rispondevano alle sue intenzioni di movimento.

Questa capacità è stata notata dai ricercatori della Sant’Anna, che lo hanno scelto come volontario per il progetto.

Nel 2023, è stato sottoposto a un intervento chirurgico a Pisa, dove gli sono stati impiantati dei magneti nel braccio, permettendogli di sperimentare l’arte robotica.

Dopo il test, la sua vita è cambiata di nuovo, ma questa volta in meglio. “È stato come muovere di nuovo la mia mano”, afferma Daniel, con un sorriso che testimonia la gioia di aver recuperato sensazioni ed emozioni perse.

Il funzionamento dell'arto robotico a controllo magnetico

Ma come funziona esattamente la protesi a controllo magnetico?

Questo arto è in grado di riprodurre i movimenti pensati dall’utilizzatore e dosare la forza per maneggiare oggetti delicati.

Non ha fili né connessioni elettriche: il controllo avviene grazie ai magneti impiantati nei muscoli dell’avambraccio che decodificano le intenzioni motorie.

Il sistema è stato sviluppato dal team della Sant’Anna, che ha creato un’interfaccia tra il braccio residuo e la mano robotica, chiamata Mia-Hand, sviluppata dallo spin-off Prensilia.

Grazie a questa tecnologia, Daniel ha potuto riprendere il controllo delle sue azioni quotidiane.

Un lungo percorso di ricerca

Il professor Cipriani spiega che l’avambraccio umano contiene 20 muscoli, molti dei quali controllano la mano.

Anche dopo la perdita di un arto, le persone continuano a percepire la mano ei muscoli residui reagiscono ai comandi cerebrali.

Il team ha mappato i movimenti dei muscoli, traducendoli in segnali che controllano le dita della mano robotica.

Quando un muscolo si contrae, il magnete si muove e un algoritmo speciale traduce questo movimento in un comando preciso per la mano.

Le prospettive future per le protesi

Marta Gherardini, ricercatrice della Sant’Anna e prima autrice dello studio, ha sottolineato l’emozione di vedere realizzato il lavoro di anni di ricerca.

Lavorare con Daniel ha permesso al team di capire quanto questa tecnologia possa migliorare la vita delle persone.

Per il professor Cipriani, questo è solo l’inizio: “Siamo pronti a estendere questi risultati a un numero più ampio di persone con amputazioni“. Il futuro delle protesi sembra più promettente che mai.

Fonte:

Il robot “Cobra” rivoluziona la chirurgia oncologica

L’IRCCS di Candiolo ha recentemente segnato un importante traguardo nella chirurgia oncologica europea. Per la prima volta, è stato utilizzato il robot Da Vinci SP (Single Port), soprannominato “cobra” per la sua straordinaria flessibilità, in un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata. 

Il robot "cobra" e il suo debutto europeo

Lo chiamano robot “cobra” per la sua flessibilità e nei giorni scorsi è stato utilizzato, per la prima volta in Europa, presso l’IRCCS di Candiolo (Torino) per eseguire un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata.

Il robot è stato prodotto negli Stati Uniti e il suo vero nome è Da Vinci SP (Single Port).

L’intervento, che è avvenuto con successo, è stato effettuato lo scorso 18 giugno su una donna di 51 anni con diagnosi di tumore al seno.

La paziente era stata precedentemente sottoposta a chemioterapia ed è stata dimessa dopo 48 ore dall’operazione.

Il braccio robotico

Il primo intervento al mondo di questo tipo è stato eseguito dieci anni fa proprio dal direttore della Chirurgia Senologica dell’IRCCS di Candiolo, Antonio Toesca.

Lo strumento utilizzato allora, racconta Toesca a Salute, non aveva la stessa flessibilità di movimento ed era definito multiport, poiché dotato di quattro braccia: “Da Vinci SP ne possiede uno solo, da cui emergono però 3 strumenti, più la telecamera in grado di muoversi in maniera flessibile, appunto come un ‘cobra’, senza danneggiare i tessuti sani e riducendo al minimo l’impatto della chirurgia demolitiva, con vantaggi sia estetici che funzionali”.

Inoltre, prosegue l’esperto, la flessibilità di movimento della telecamera consente di visualizzare anche strutture che potrebbero altrimenti rimanere nascoste.

Come si è svolto l'intervento

“L’intervento con il nuovo robot è stato eseguito attraverso una singola incisione di 2,5 centimetri sotto l’ascella“, prosegue Toesca: “L’estrema precisione chirurgica ha permesso di conservare la sensibilità del seno, preservare il complesso areola-capezzolo ed il lembo cutaneo e sottocutaneo che contiene i vasi sanguigni superficiali, nonché ridurre al minimo la cicatrice chirurgica, situata oltretutto lontano dalla mammella”.

Come anticipato, si tratta quindi di un intervento mini-invasivo: non in tutte le pazienti può essere eseguito, ma quando possibile dovrebbe migliorare sensibilmente l’impatto estetico e la qualità di vita post-operatoria.

La ricostruzione immediata

Inoltre, racconta ancora Toesca a Salute, questa tecnologia aumenta la probabilità di riuscita dell’intervento di ricostruzione plastica eseguito immediatamente dopo la rimozione del tessuto tumorale: “Gli studi hanno dimostrato che miniaturizzando l’incisione e allontanandola dalla mammella la probabilità di poter mantenere l’impianto a seguito dell’operazione è nettamente più alta”.

Dal punto di vista della durata dell’intervento, conclude il chirurgo, mentre in passato l’utilizzo dei robot allungava nettamente i tempi, oggi non c’è più una differenza significativa fra l’operazione eseguita manualmente e quella eseguita con l’ausilio della nuova tecnologia: “Parliamo di un intervento – conclude Toesca – che durerebbe circa tre ore e mezzo e che con l’utilizzo del robot può durare magari quattro ore, una differenza che non è significativa”.

Fonte:

Vaccino contro l’HIV, la nuova speranza

Da quando è stato identificato per la prima volta nel 1983, l’HIV ha contagiato più di 85 milioni di persone, causando circa 40 milioni di morti in tutto il mondo. Nonostante i farmaci profilattici pre-esposizione (Prep) possano ridurre significativamente il rischio di contrarre l’HIV, la loro efficacia dipende dall’assunzione quotidiana. Questo rende la ricerca di un vaccino duraturo una priorità assoluta per i ricercatori, che da decenni inseguono questo obiettivo senza successo.

Un nuovo sviluppo promettente

Recentemente, un vaccino sperimentale sviluppato alla Duke University ha mostrato risultati promettenti.

In uno studio clinico del 2019, il vaccino è riuscito a innescare la produzione di anticorpi neutralizzanti in un piccolo gruppo di partecipanti.

I risultati, pubblicati il 17 maggio sulla rivista scientifica Cell, sono stati definiti tra i più importanti nel campo dei vaccini contro l’HIV da Glenda Gray, presidente del South African Medical Research Council.

Il percorso verso il vaccino

Un team dello Scripps Research e dell’International AIDS Vaccine Initiative (IAVI) aveva dimostrato in precedenza la possibilità di stimolare le cellule necessarie a produrre rari anticorpi neutralizzanti.

Lo studio della Duke University rappresenta un ulteriore passo avanti, anche se ancora a livelli bassi, nel percorso verso la creazione di questi anticorpi.

Gray ha commentato che questa scoperta scientifica offre una grande speranza per sviluppare un regime vaccinale che indirizzi la risposta immunitaria verso una protezione efficace.

Il funzionamento dei vaccini

I vaccini funzionano addestrando il sistema immunitario a riconoscere un virus o un altro agente patogeno introducendo un elemento simile, stimolando i linfociti B a produrre anticorpi.

Quando una persona viene esposta al virus vero e proprio, questi anticorpi permettono al sistema immunitario di riconoscerlo e attaccarlo prontamente.

Le sfide specifiche dell'HIV

A differenza del rapido sviluppo del vaccino contro il Covid-19, la creazione di un vaccino contro l’HIV è più complessa a causa della natura unica del virus.

L’HIV muta rapidamente, superando le difese immunitarie, e si integra nel genoma umano pochi giorni dopo l’esposizione, nascondendosi al sistema immunitario.

Inoltre, alcune parti del virus somigliano alle nostre cellule, complicando ulteriormente la produzione di anticorpi specifici.

Il nuovo vaccino sperimentale

I ricercatori hanno concentrato i loro sforzi sugli anticorpi neutralizzanti, capaci di riconoscere e bloccare diverse versioni del virus.

Esistono due tipi principali di HIV, ciascuno con diversi ceppi, e un vaccino efficace dovrebbe riuscire a colpire la maggior parte di questi ceppi.

Haynes ha spiegato che alcune persone infette da HIV generano anticorpi neutralizzanti, ma questo processo richiede anni e non sempre produce anticorpi sufficienti.

Risultati dello studio

Haynes e il suo team hanno cercato di accelerare questo processo utilizzando un vaccino con molecole sintetiche che imitano una parte stabile della membrana esterna dell’HIV chiamata Mper.

Lo studio ha coinvolto 20 partecipanti sani; 15 hanno ricevuto due delle quattro dosi previste e cinque hanno ricevuto tre dosi.

Sebbene la sperimentazione sia stata interrotta a causa di una reazione allergica in un partecipante, i ricercatori hanno identificato un additivo nel vaccino come probabile causa, che sarà eliminato nei test futuri.

Prospettive future

Nonostante i progressi significativi, rimangono diverse sfide da affrontare.

Un vaccino efficace dovrebbe generare livelli di anticorpi significativamente più alti ed essere somministrabile in una sola dose.

Haynes ha dichiarato che il prossimo passo sarà progettare un vaccino con almeno tre componenti rivolte a diverse regioni dell’HIV, con l’obiettivo di stimolare una risposta immunitaria più robusta e duratura.

Fonte:

Innovazioni nei trapianti di fegato: AOU Pisana riconosciuta a livello internazionale

L’Unità operativa di Chirurgia epatica e del trapianto di fegato della AOU Pisana ha recentemente partecipato a due dei principali congressi internazionali sul trapianto epatico. Durante questi eventi, è stata presentata l’esperienza dell’unità nell’utilizzo della perfusione normotermica regionale combinata con la perfusione ex-situ per fegati provenienti da donatori DCD (Donation after Cardiac Death) anziani. Questa esperienza sarà fondamentale nella stesura delle nuove linee guida sull’argomento.

I Tempi di accertamento di morte cardiaca in Italia

Davide Ghinolfi, direttore facente funzione dell’Unità operativa, spiega: “La particolarità della nostra esperienza è che i tempi per l’accertamento di morte cardiaca in Italia sono di 20 minuti, quattro volte superiori agli altri Paesi.

Questo, in teoria, espone gli organi prima del prelievo a un rischio maggiore di danno ischemico.

I nostri donatori hanno inoltre un’età media molto superiore a quella degli altri Paesi, e quindi la combinazione dei tempi di ischemia con l’età rende questi organi più rischiosi dal punto di vista dei risultati”.

Tecnologie innovative per la perfusione del fegato

Ghinolfi prosegue: “Nella nostra esperienza abbiamo utilizzato una combinazione di tecnologie che permette la perfusione del fegato sia nel donatore che fuori dal corpo una volta prelevato.

Queste tecnologie ci hanno permesso di ottenere risultati assolutamente sovrapponibili a quelli di altri Paesi, dove l’ischemia è di soli 5 minuti e l’età media dei donatori è di poco superiore ai 40 anni.

Si tratta di un piccolo miracolo tecnologico che ci ha permesso fino ad ora di trapiantare 16 pazienti con ottimi risultati”.

Presentazioni ai congressi internazionali

Il lavoro dell’Unità operativa è stato presentato al congresso della ESOT (European Society for Organ Transplantation) a Madrid da Giovanni Tincani e al congresso della ILTS (International Liver Transplant Society) a Houston, USA, da Daniele Pezzati.

Riconoscimento e collaborazioni internazionali

A testimonianza del riconoscimento internazionale, Ghinolfi è stato invitato a tenere una lettura sull’utilizzo della perfusione regionale normotermica nei donatori da morte cardiaca e sulla perfusione d’organo ex-situ sia a Madrid che a Houston, davanti ai massimi esperti mondiali del settore.

Inoltre, è stato nominato dalla ESOT responsabile del gruppo di lavoro che redigerà le linee guida sull’argomento.

Progetti futuri e collaborazioni

Ghinolfi conclude: “Nei prossimi mesi saremo impegnati nella stesura di ulteriori studi e linee guida sull’argomento in collaborazione con i principali centri trapianto di fegato del mondo.

Tutto questo è frutto di un lavoro di squadra svolto quotidianamente da tutta l’equipe medica, infermieristica, tecnica e di supporto, che permette di garantire ai pazienti i più moderni standard in campo trapiantologico epatico.

Un ringraziamento particolare va anche all’OTT (Organizzazione Toscana Trapianti), che assicura un sistema di donazione ai vertici mondiali per numero e qualità”.

Affetto da Parkinson cammina dopo 30 anni grazie ad un impianto innovativo

I ricercatori del Politecnico federale di Losanna hanno concepito la tecnologia che ha consentito a Marc Gauthier, un cittadino francese di 62 anni, affetto dalla malattia neurodegenerativa da tre decenni, di percorrere agevolmente 6 chilometri.

La sfida

Il passato di Gauthier, una volta architetto e sindaco nella sua città vicino a Bordeaux, è stato radicalmente trasformato dall’instabilità motoria causata dal Parkinson.

La malattia gli ha inflitto movimenti incontrollabili e difficoltà di coordinazione, portandolo da una vita attiva a una condizione in cui perfino rimanere in piedi divenne un’ardua sfida.

L'intervento innovativo

Un intervento sperimentale, eseguito da un team di ricerca internazionale, guidato da Jocelyne Bloch e Grégoire Courtine dell‘Ospedale universitario di Losanna (CHUV) e del Politecnico federale di Losanna (EPFL), ha rivoluzionato la vita di Gauthier

Questo intervento, basato sulla stimolazione del midollo spinale attraverso un dispositivo neuroprotesico, ha permesso a Gauthier di camminare per sei chilometri senza difficoltà, aprendo la strada a una potenziale svolta nel trattamento del Parkinson.

La tecnologia

Il dispositivo neuroprotesico sviluppato dai ricercatori dell’Epfl è stato impiantato nella parte bassa della schiena, sopra il midollo spinale lombosacrale.

Questa posizione strategica ha permesso la stimolazione della rete neurale tra il midollo spinale e i muscoli delle gambe, risultando in un notevole miglioramento dell’andatura dei pazienti affetti da Parkinson.

Nuova procedura di intervento

L’intervento degli studiosi svizzeri si distingue per la posizione innovativa dell’impianto, che ha dimostrato di migliorare l’andatura delle persone affette da Parkinson.

Tuttavia, si evidenzia la necessità di ulteriori ricerche per affinare e consolidare questa tecnologia in via sperimentale.

La metamorfosi di Marc

Grazie all’impianto spinale, Marc Gauthier ha sperimentato una vera e propria metamorfosi.

Da gravi deficit motori e frequenti cadute, è riuscito a camminare per sei chilometri senza problemi, migliorando notevolmente la sua qualità di vita e equilibrio.

Stimolazione personalizzata

Prima dell’impianto, un approfondimento sul processo attento e meticoloso che ha preceduto l’intervento, dove i ricercatori hanno personalizzato la stimolazione per compensare i deficit specifici di Gauthier.

Prospettive future

Il team svizzero ha già avviato test su altri sei pazienti, indicando una prospettiva entusiasmante per il futuro.

Tuttavia, si sottolinea che ci vorranno almeno cinque anni prima che questa tecnologia possa essere disponibile su larga scala dopo i trial clinici.

Conclusioni

In conclusione, questa innovativa tecnologia offre un approccio promettente nella lotta contro il Parkinson, rivoluzionando il trattamento della malattia neurodegenerativa e aprendo la strada a una speranza concreta per coloro che ne sono afflitti.

Fonte: