La salute prima di tutto: la sanità italiana preoccupa più di tasse e guerre.

Negli ultimi anni, la principale preoccupazione degli italiani è diventata la qualità del sistema sanitario, superando temi come il costo della vita e la disoccupazione. Mentre le guerre perdono rilevanza nella percezione pubblica, l’attenzione si concentra su problemi interni legati al benessere e al futuro del paese.

L'emergenza Covid e le preoccupazioni sociali

Pochi anni fa, all’inizio del decennio, le preoccupazioni degli italiani erano fortemente concentrate su un unico problema: il Covid.

Il virus che ha coinvolto e sconvolto la società ha provocato un numero crescente di vittime, monopolizzando l’attenzione collettiva.

In quel periodo, le questioni economiche e, in misura minore, la disoccupazione, generavano una crescente inquietudine, superando altre preoccupazioni come le tasse e l’immigrazione, quest’ultima percepita come una “invasione”.

Tuttavia, il cambiamento climatico e le guerre, vicine ai nostri confini come in Ucraina, e più lontane come in Medio Oriente, continuavano a rappresentare un motivo di insicurezza per molti.

Un cambiamento di percezioni

A distanza di pochi anni, le percezioni sono cambiate radicalmente.

Oggi, l’attenzione sociale si è concentrata su un altro tema cruciale: la qualità del sistema sanitario.

Rispetto a due anni fa, il numero di persone che ha indicato questo tema tra i due più importanti è triplicato, passando dal 13% al 40%.

Nonostante il costo della vita resti una preoccupazione significativa, essa viene ora ampiamente superata dall’attenzione verso la salute, che è tornata a dominare la lista delle priorità dei cittadini italiani.

La guerra e il distacco emotivo

Le guerre, pur rimanendo un elemento di inquietudine, hanno perso parte del loro impatto emotivo sugli italiani.

Sebbene i conflitti continuino a scuotere lo scenario globale, con guerre in Ucraina, Medio Oriente, Afghanistan, Libano, Siria e Iraq, essi sembrano essere percepiti come “lontani”.

Un recente sondaggio di Demos, condotto per Repubblica, ha mostrato che solo il 9% degli italiani ritiene la guerra una delle principali urgenze. L’attenzione si è spostata su altre questioni interne.

Le preoccupazioni interne: lavoro, tasse e immigrazione

Gli italiani sono maggiormente preoccupati da problemi interni, come la disoccupazione, il lavoro che manca, le tasse, la corruzione politica e l’immigrazione.

Questi argomenti suscitano timori particolari soprattutto nelle aree più vulnerabili del paese, come il Mezzogiorno, tra i disoccupati e gli studenti, categorie che spesso hanno difficoltà a immaginare e progettare il proprio futuro.

Cambiamenti nelle priorità: sistema sanitario e scuola

Guardando indietro a due anni fa, si nota un cambiamento significativo nelle priorità degli italiani.

Il sistema sanitario ha assunto un’importanza centrale, mentre altre questioni, come il costo della vita e l’economia, hanno perso rilevanza.

Questo cambiamento riflette un’attenzione maggiore verso la salute e la qualità della vita, mettendo in secondo piano problemi come le tasse e la disoccupazione.

Un’altra area di crescente preoccupazione è la qualità della scuola, che evidenzia l’attenzione verso il futuro dei giovani, considera il futuro del paese.

Anche le questioni ambientali, pur segnalate come prioritarie dall’11% degli italiani, hanno perso parte della loro importanza rispetto a due anni fa.

Influenze politiche sulle priorità

Le opinioni politiche influenzano fortemente la percezione dei problemi principali.

Gli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia danno maggiore importanza all’immigrazione e, nel caso di chi sostiene FdI, alla criminalità.

Al contrario, l’attenzione verso la qualità del sistema sanitario è particolarmente forte tra gli elettori di AVS e del PD, sebbene questi problemi siano condivisi in modo trasversale, anche se con minore urgenza tra gli elettori dei partiti di governo.

Un'agenda complessa e differenziata

L’agenda delle questioni più urgenti secondo i cittadini risulta complessa e diversificata, ma alcune priorità emergono con chiarezza.

Il lavoro, il costo della vita e, soprattutto, la qualità del sistema sanitario, occupa i primi posti nelle preoccupazioni degli italiani.

La salute, personale e familiare, sembra ora predominare su tutto il resto.

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Combattere il tumore al seno con il freddo anziché con il bisturi

Evitare la chirurgia invasiva è sicuramente il desiderio delle donne che si ammalano di tumore al seno e sanno di doversi sottoporre a un intervento. A rendere concreta questa possibilità è un nuovo studio clinico condotto dallo Ieo, che sta reclutando 234 pazienti di più di 50 anni con tumore mammario di piccole dimensioni (fino a 15 mm di diametro) a basso rischio.

La scommessa della crioablazione

L’obiettivo è raggiungere un’alta percentuale di pazienti con tumore al seno che riescano a evitare la chirurgia ottenendo lo stesso risultato oncologico grazie al trattamento percutaneo della crioablazione: in pratica il tumore viene aggredito col freddo invece che col bisturi.

Questa è l’ipotesi dello studio clinico Precice, promosso dall’Istituto Europeo di Oncologia e sostenuto dalla Fondazione Veronesi, che sta mobilitando per realizzare lo studio 234 donne ultra 50enni con piccoli tumori mammari a basso rischio.

Percorso terapeutico standard

Le pazienti candidabili alla crioablazione saranno inserite nel percorso terapeutico standard – con radioterapia e chemioterapia adiuvante se necessaria – ma la rimozione del tumore avverrà senza tagli chirurgici, permettendo alle pazienti di tornare a casa il giorno stesso del trattamento senza cicatrici né protesi.

Come funziona la crioablazione

La crioablazione è una tecnica consolidata che usa temperature molto basse per distruggere i tessuti e può essere eseguita con un approccio percutaneo con semplice anestesia locale.

In sintesi, la procedura per il tumore del seno prevede di raggiungere il tumore con una sonda delle dimensioni di un ago (criosonda) sotto guida ecografica; quando il bersaglio viene raggiunto, la sonda rilascia la sua carica refrigerante, che può arrivare a -190 gradi, distruggendo il tumore e i suoi margini.

Studi precedenti e risultati promettenti

Molti studi hanno già confermato la capacità di questa tecnica di ottenere un controllo locale paragonabile alla chirurgia, offrendo un miglior risultato cosmetico, minori complicanze e costi estremamente contenuti.

Recentemente, anche negli Stati Uniti è stata avviata questa sperimentazione che ha riportato risultati significativi.

Il trial, che ha coinvolto donne con tumori di piccole dimensioni e a basso rischio, ha mostrato che la crioablazione è efficace nel controllare il tumore senza necessità di intervento chirurgico.

Il tasso di successo è stato molto promettente, con un’assenza di recidiva di malattia a cinque anni nel 96,4% dei pazienti, indicando che questa tecnica può rappresentare un’alternativa valida e meno invasiva rispetto alla chirurgia tradizionale.

L'opinione degli esperti

“La chirurgia è il trattamento standard per le donne con tumore del seno ed è il caposaldo delle cure per questa malattia.

Negli ultimi 40 anni, tuttavia, l’impegno di tutti i senologi del mondo – e in prima linea qui all’Istituto Europeo di Oncologia – si è concentrato nel ridurre al minimo l’invasività dell’atto chirurgico per ottenere il minore impatto possibile sulla vita della donna a parità di sicurezza oncologica”, spiega Paolo Veronesi, Direttore del Programma Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e Presidente della Fondazione Veronesi. “I trattamenti percutanei come la crioablazione vanno esattamente in questa direzione e il nostro obiettivo è inserirli nella nostra offerta di cura del tumore del seno in modo che la donna che si presenta a noi con una diagnosi di cancro mammario abbia sempre la consapevolezza rassicurante di ricevere una terapia su misura qualsiasi sia lo stadio e il tipo della sua malattia. In Italia siamo pionieri nella crioablazione e siamo i primi ad eseguirla nell’ambito di uno studio clinico con risultati condivisibili e riproducibili in altri centri”.

Prospettive future

Franco Orsi, Direttore della Radiologia Interventistica Ieo, aggiunge: “Le tecniche percutanee di radiologia interventistica per il tumore del seno, sono oggi in grado di aprire nuove prospettive concrete di trattamento conservativo. A due condizioni: una diagnosi precocissima e strumenti mininvasivi capaci di cogliere il vantaggio di intercettare un tumore estremamente piccolo. Con questo primo studio italiano vogliamo dimostrare che l’uso della crioablazione percutanea nel trattamento del carcinoma mammario a basso rischio non è inferiore rispetto alla chirurgia. L’ipotesi scientifica è che essa in casi selezionati sia la giusta alternativa all’approccio chirurgico perché, a parità di efficacia, assicura alla paziente una migliore qualità di vita (ridotta morbilità, non necessità di anestesia generale, migliori risultati cosmetici) e un conseguente minor impatto psicologico così come un miglior rapporto costo/beneficio”.

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Scoperta una nuova via di comunicazione cellulare che apre a potenziali terapie anticancro

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università Statale di Milano ha recentemente scoperto una nuova rete di comunicazione interna alla cellula. Questa scoperta potrebbe avere un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella diffusione dei tumori. I risultati di questa ricerca, finanziata da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro e dall’European Research Council (ERC), sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

Il meccanismo di comunicazione cellulare tradizionale

Le cellule possiedono recettori sulla loro superficie che agiscono come antenne, ricevendo segnali dal mondo esterno e trasferendoli all’interno della cellula.

Questi segnali sono cruciali perché forniscono istruzioni specifiche per il comportamento cellulare.

Quando un recettore si lega a una molecola-segnale esterna, si innesca una cascata di reazioni chimiche che raggiungono il nucleo della cellula, il centro di controllo, generando una risposta cellulare specifica.

Questa risposta può includere il movimento o la divisione della cellula.

La scoperta di una via di comunicazione alternativa

Contrariamente a quanto si pensava in precedenza, i ricercatori hanno scoperto una via di comunicazione alternativa all’interno della cellula.

“La nostra ricerca ha rivelato che un particolare recettore per fattori di crescita, noto come EGFR, può comunicare direttamente con alcuni organelli all’interno della cellula,” spiega Sara Sigismund, responsabile scientifica dello studio.

Gli EGFR, coinvolti in funzioni biologiche essenziali e in malattie come il cancro, quando attivati da alte concentrazioni di un fattore di crescita specifico, fanno avvicinare organelli come il reticolo endoplasmatico e i mitocondri alla superficie cellulare.

L'interazione diretta tra recettori e organelli

Questa vicinanza permette ai recettori attivati di interagire direttamente con il reticolo endoplasmatico e i mitocondri, influenzandone la funzione metabolica e aumentando la produzione di energia.

Questo ha un doppio effetto: da un lato, promuove la rimozione e la degradazione dei recettori dalla superficie cellulare, riducendo la capacità delle cellule di rispondere a segnali di proliferazione.

Dall’altro lato, stimola il movimento cellulare, un processo cruciale per la migrazione delle cellule.

Implicazioni per lo sviluppo dei tumori

Questa rete di comunicazione interna sembra essere fondamentale per una risposta adeguata delle cellule a elevate concentrazioni di fattore di crescita.

“La proliferazione cellulare e il movimento sono due funzioni chiave per lo sviluppo dei tumori,” aggiunge Sara Sigismund.

La proliferazione è responsabile della crescita tumorale, mentre il movimento può causare metastasi.

Nuove prospettive terapeutiche

Pier Paolo Di Fiore, coautore dell’articolo e Responsabile del Programma di Novel Diagnostics allo IEO, conclude: “L’identificazione di questa via di comunicazione potrebbe fornire le basi per sviluppare nuove terapie anticancro.

Interferire con questa via per bloccare le risposte cellulari indesiderate potrebbe rappresentare una strategia terapeutica innovativa e promettente.

Questa scoperta apre nuove prospettive per combattere il cancro, interferendo con i meccanismi che deviano le cellule dal loro normale comportamento.

Fonte:

Rimosso un tumore benigno di 10 cm tramite via transvaginale

Presso l’Unità operativa di Ostetricia e Ginecologia a indirizzo Oncologico del Policlinico “Paolo Giaccone”, è stato eseguito un intervento innovativo di rimozione transvaginale di un tumore benigno all’utero di oltre 10 centimetri di diametro. 

Un'alternativa alla chirurgia tradizionale

“Nel caso di un mioma di queste dimensioni, la soluzione più semplice sarebbe stata un intervento di chirurgia tradizionale, solitamente indicato per uteri con numerosi fibromi di grandi dimensioni,” spiega il prof. Laganà.

Tuttavia, grazie alla collaborazione del personale anestesiologico e infermieristico, è stato possibile eseguire l’intervento in laparoscopia e rimuovere il mioma con una tecnica di estrazione transvaginale in endobag.

Questa tecnica, eseguita in poche strutture nazionali, elimina la necessità del morcellatore, riducendo costi e rischi chirurgici.

Risultati dell’operazione

L’operazione è stata un successo e la paziente è stata dimessa dopo pochi giorni.

“La nostra missione è fornire cure mediche all’avanguardia e di alta qualità,” afferma Maria Grazia Furnari, Direttrice generale del Policlinico.

“Il team guidato dal Prof. Laganà ha dimostrato grande competenza, garantendo ottimi risultati per la paziente.

La ginecologia laparoscopica è una delle numerose innovazioni su cui puntiamo per offrire le migliori tecniche disponibili.”

Riconoscimenti e collaborazioni

Il prof. Laganà esprime gratitudine alla sua infermiera strumentista Graziella Cusimano, ai colleghi dott. Giuseppe Vitrano e dott. Vincenzo Minnella, e al Direttore di Unità Operativa prof. Renato Venezia, per il supporto nel realizzare un livello così avanzato di chirurgia laparoscopica all’interno del Sistema Sanitario Nazionale.

Ringrazia inoltre la Direttrice Generale, dott.ssa Maria Grazia Furnari, e il suo staff per l’attenzione alle attività dell’Area Materno-Infantile.

Formazione e innovazione continua

“Portare costantemente il livello chirurgico più in alto, in un’ottica di monitoraggio e miglioramento continuo, permette anche ai medici in formazione specialistica di avere un percorso di eccellenza,” conclude il prof. Laganà.

“Questo realizza una reale e proficua integrazione tra Azienda ospedaliera e Università, confermando il Policlinico come sede principale della loro formazione.”

Il robot “Cobra” rivoluziona la chirurgia oncologica

L’IRCCS di Candiolo ha recentemente segnato un importante traguardo nella chirurgia oncologica europea. Per la prima volta, è stato utilizzato il robot Da Vinci SP (Single Port), soprannominato “cobra” per la sua straordinaria flessibilità, in un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata. 

Il robot "cobra" e il suo debutto europeo

Lo chiamano robot “cobra” per la sua flessibilità e nei giorni scorsi è stato utilizzato, per la prima volta in Europa, presso l’IRCCS di Candiolo (Torino) per eseguire un intervento di mastectomia mini-invasiva seguito da ricostruzione plastica immediata.

Il robot è stato prodotto negli Stati Uniti e il suo vero nome è Da Vinci SP (Single Port).

L’intervento, che è avvenuto con successo, è stato effettuato lo scorso 18 giugno su una donna di 51 anni con diagnosi di tumore al seno.

La paziente era stata precedentemente sottoposta a chemioterapia ed è stata dimessa dopo 48 ore dall’operazione.

Il braccio robotico

Il primo intervento al mondo di questo tipo è stato eseguito dieci anni fa proprio dal direttore della Chirurgia Senologica dell’IRCCS di Candiolo, Antonio Toesca.

Lo strumento utilizzato allora, racconta Toesca a Salute, non aveva la stessa flessibilità di movimento ed era definito multiport, poiché dotato di quattro braccia: “Da Vinci SP ne possiede uno solo, da cui emergono però 3 strumenti, più la telecamera in grado di muoversi in maniera flessibile, appunto come un ‘cobra’, senza danneggiare i tessuti sani e riducendo al minimo l’impatto della chirurgia demolitiva, con vantaggi sia estetici che funzionali”.

Inoltre, prosegue l’esperto, la flessibilità di movimento della telecamera consente di visualizzare anche strutture che potrebbero altrimenti rimanere nascoste.

Come si è svolto l'intervento

“L’intervento con il nuovo robot è stato eseguito attraverso una singola incisione di 2,5 centimetri sotto l’ascella“, prosegue Toesca: “L’estrema precisione chirurgica ha permesso di conservare la sensibilità del seno, preservare il complesso areola-capezzolo ed il lembo cutaneo e sottocutaneo che contiene i vasi sanguigni superficiali, nonché ridurre al minimo la cicatrice chirurgica, situata oltretutto lontano dalla mammella”.

Come anticipato, si tratta quindi di un intervento mini-invasivo: non in tutte le pazienti può essere eseguito, ma quando possibile dovrebbe migliorare sensibilmente l’impatto estetico e la qualità di vita post-operatoria.

La ricostruzione immediata

Inoltre, racconta ancora Toesca a Salute, questa tecnologia aumenta la probabilità di riuscita dell’intervento di ricostruzione plastica eseguito immediatamente dopo la rimozione del tessuto tumorale: “Gli studi hanno dimostrato che miniaturizzando l’incisione e allontanandola dalla mammella la probabilità di poter mantenere l’impianto a seguito dell’operazione è nettamente più alta”.

Dal punto di vista della durata dell’intervento, conclude il chirurgo, mentre in passato l’utilizzo dei robot allungava nettamente i tempi, oggi non c’è più una differenza significativa fra l’operazione eseguita manualmente e quella eseguita con l’ausilio della nuova tecnologia: “Parliamo di un intervento – conclude Toesca – che durerebbe circa tre ore e mezzo e che con l’utilizzo del robot può durare magari quattro ore, una differenza che non è significativa”.

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Vaccino contro l’HIV, la nuova speranza

Da quando è stato identificato per la prima volta nel 1983, l’HIV ha contagiato più di 85 milioni di persone, causando circa 40 milioni di morti in tutto il mondo. Nonostante i farmaci profilattici pre-esposizione (Prep) possano ridurre significativamente il rischio di contrarre l’HIV, la loro efficacia dipende dall’assunzione quotidiana. Questo rende la ricerca di un vaccino duraturo una priorità assoluta per i ricercatori, che da decenni inseguono questo obiettivo senza successo.

Un nuovo sviluppo promettente

Recentemente, un vaccino sperimentale sviluppato alla Duke University ha mostrato risultati promettenti.

In uno studio clinico del 2019, il vaccino è riuscito a innescare la produzione di anticorpi neutralizzanti in un piccolo gruppo di partecipanti.

I risultati, pubblicati il 17 maggio sulla rivista scientifica Cell, sono stati definiti tra i più importanti nel campo dei vaccini contro l’HIV da Glenda Gray, presidente del South African Medical Research Council.

Il percorso verso il vaccino

Un team dello Scripps Research e dell’International AIDS Vaccine Initiative (IAVI) aveva dimostrato in precedenza la possibilità di stimolare le cellule necessarie a produrre rari anticorpi neutralizzanti.

Lo studio della Duke University rappresenta un ulteriore passo avanti, anche se ancora a livelli bassi, nel percorso verso la creazione di questi anticorpi.

Gray ha commentato che questa scoperta scientifica offre una grande speranza per sviluppare un regime vaccinale che indirizzi la risposta immunitaria verso una protezione efficace.

Il funzionamento dei vaccini

I vaccini funzionano addestrando il sistema immunitario a riconoscere un virus o un altro agente patogeno introducendo un elemento simile, stimolando i linfociti B a produrre anticorpi.

Quando una persona viene esposta al virus vero e proprio, questi anticorpi permettono al sistema immunitario di riconoscerlo e attaccarlo prontamente.

Le sfide specifiche dell'HIV

A differenza del rapido sviluppo del vaccino contro il Covid-19, la creazione di un vaccino contro l’HIV è più complessa a causa della natura unica del virus.

L’HIV muta rapidamente, superando le difese immunitarie, e si integra nel genoma umano pochi giorni dopo l’esposizione, nascondendosi al sistema immunitario.

Inoltre, alcune parti del virus somigliano alle nostre cellule, complicando ulteriormente la produzione di anticorpi specifici.

Il nuovo vaccino sperimentale

I ricercatori hanno concentrato i loro sforzi sugli anticorpi neutralizzanti, capaci di riconoscere e bloccare diverse versioni del virus.

Esistono due tipi principali di HIV, ciascuno con diversi ceppi, e un vaccino efficace dovrebbe riuscire a colpire la maggior parte di questi ceppi.

Haynes ha spiegato che alcune persone infette da HIV generano anticorpi neutralizzanti, ma questo processo richiede anni e non sempre produce anticorpi sufficienti.

Risultati dello studio

Haynes e il suo team hanno cercato di accelerare questo processo utilizzando un vaccino con molecole sintetiche che imitano una parte stabile della membrana esterna dell’HIV chiamata Mper.

Lo studio ha coinvolto 20 partecipanti sani; 15 hanno ricevuto due delle quattro dosi previste e cinque hanno ricevuto tre dosi.

Sebbene la sperimentazione sia stata interrotta a causa di una reazione allergica in un partecipante, i ricercatori hanno identificato un additivo nel vaccino come probabile causa, che sarà eliminato nei test futuri.

Prospettive future

Nonostante i progressi significativi, rimangono diverse sfide da affrontare.

Un vaccino efficace dovrebbe generare livelli di anticorpi significativamente più alti ed essere somministrabile in una sola dose.

Haynes ha dichiarato che il prossimo passo sarà progettare un vaccino con almeno tre componenti rivolte a diverse regioni dell’HIV, con l’obiettivo di stimolare una risposta immunitaria più robusta e duratura.

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Innovazioni nei trapianti di fegato: AOU Pisana riconosciuta a livello internazionale

L’Unità operativa di Chirurgia epatica e del trapianto di fegato della AOU Pisana ha recentemente partecipato a due dei principali congressi internazionali sul trapianto epatico. Durante questi eventi, è stata presentata l’esperienza dell’unità nell’utilizzo della perfusione normotermica regionale combinata con la perfusione ex-situ per fegati provenienti da donatori DCD (Donation after Cardiac Death) anziani. Questa esperienza sarà fondamentale nella stesura delle nuove linee guida sull’argomento.

I Tempi di accertamento di morte cardiaca in Italia

Davide Ghinolfi, direttore facente funzione dell’Unità operativa, spiega: “La particolarità della nostra esperienza è che i tempi per l’accertamento di morte cardiaca in Italia sono di 20 minuti, quattro volte superiori agli altri Paesi.

Questo, in teoria, espone gli organi prima del prelievo a un rischio maggiore di danno ischemico.

I nostri donatori hanno inoltre un’età media molto superiore a quella degli altri Paesi, e quindi la combinazione dei tempi di ischemia con l’età rende questi organi più rischiosi dal punto di vista dei risultati”.

Tecnologie innovative per la perfusione del fegato

Ghinolfi prosegue: “Nella nostra esperienza abbiamo utilizzato una combinazione di tecnologie che permette la perfusione del fegato sia nel donatore che fuori dal corpo una volta prelevato.

Queste tecnologie ci hanno permesso di ottenere risultati assolutamente sovrapponibili a quelli di altri Paesi, dove l’ischemia è di soli 5 minuti e l’età media dei donatori è di poco superiore ai 40 anni.

Si tratta di un piccolo miracolo tecnologico che ci ha permesso fino ad ora di trapiantare 16 pazienti con ottimi risultati”.

Presentazioni ai congressi internazionali

Il lavoro dell’Unità operativa è stato presentato al congresso della ESOT (European Society for Organ Transplantation) a Madrid da Giovanni Tincani e al congresso della ILTS (International Liver Transplant Society) a Houston, USA, da Daniele Pezzati.

Riconoscimento e collaborazioni internazionali

A testimonianza del riconoscimento internazionale, Ghinolfi è stato invitato a tenere una lettura sull’utilizzo della perfusione regionale normotermica nei donatori da morte cardiaca e sulla perfusione d’organo ex-situ sia a Madrid che a Houston, davanti ai massimi esperti mondiali del settore.

Inoltre, è stato nominato dalla ESOT responsabile del gruppo di lavoro che redigerà le linee guida sull’argomento.

Progetti futuri e collaborazioni

Ghinolfi conclude: “Nei prossimi mesi saremo impegnati nella stesura di ulteriori studi e linee guida sull’argomento in collaborazione con i principali centri trapianto di fegato del mondo.

Tutto questo è frutto di un lavoro di squadra svolto quotidianamente da tutta l’equipe medica, infermieristica, tecnica e di supporto, che permette di garantire ai pazienti i più moderni standard in campo trapiantologico epatico.

Un ringraziamento particolare va anche all’OTT (Organizzazione Toscana Trapianti), che assicura un sistema di donazione ai vertici mondiali per numero e qualità”.

Med-Gemini: Il futuro dell’intelligenza artificiale nella sanità

Sviluppato da Google, questo sistema multimodale di intelligenza artificiale combina la potenza di Google Brain e DeepMind per rivoluzionare la pratica clinica. Integrando dati da testo, immagini, audio e video, Med-Gemini offre un supporto decisionale avanzato, migliorando l’accuratezza diagnostica e la qualità delle cure.

Med-Gemini e il ragionamento “Multimodale”

Med-Gemini rappresenta una fusione di Google Brain e DeepMind, creando un’IA in grado di analizzare, sintetizzare e comprendere una vasta gamma di informazioni, tra cui testo, immagini, audio e video.

Questo approccio “multimodale” riflette il complesso processo decisionale dei medici, che integrano dati provenienti da diverse fonti per giungere a una diagnosi accurata e a un piano di trattamento efficace.

Al servizio dei medici: accuratezza ed esempi pratici

In uno studio condotto da Google, Med-Gemini è stato valutato su diversi parametri clinici, dimostrando prestazioni all’avanguardia in numerosi benchmark.

Ad esempio, su un popolare benchmark di domande mediche (MedQA), Med-Gemini ha raggiunto un’accuratezza del 91,1%, superando i modelli precedenti con un ampio margine.

Un esempio concreto dell’applicazione di Med-Gemini è la sua capacità di analizzare una radiografia del torace e generare un referto radiologico dettagliato.

Attraverso un dialogo interattivo con il medico, Med-Gemini fornisce informazioni precise e utili per la valutazione del paziente.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale nella medicina del futuro

L’introduzione dell’IA nella pratica clinica solleva importanti questioni etiche e pratiche.

Mentre i clinici guardano con favore all’introduzione di strumenti AI per migliorare l’efficienza e la precisione delle cure, è essenziale garantire un equilibrio tra l’uso della tecnologia e l’attenzione al rapporto clinico-paziente.

Modelli linguistici multimodali

I modelli linguistici multimodali come Med-Gemini rappresentano una nuova era di possibilità per la sanità e la medicina.

Con la capacità di integrare dati provenienti da diverse fonti e fornire analisi dettagliate e accurate, questi sistemi possono accelerare le scoperte biomediche e migliorare la qualità delle cure.

Tuttavia, è importante affrontare le sfide legate all’affidabilità e alla sicurezza dei sistemi AI, garantendo che il loro utilizzo sia etico e responsabile.

Con una corretta implementazione e integrazione, l’IA può diventare un prezioso alleato nella lotta contro le malattie e nel miglioramento della salute globale.

Conclusioni

Mentre guardiamo al futuro della medicina digitale, è fondamentale mantenere un approccio bilanciato e responsabile all’adozione dell’IA.

L’integrazione di strumenti AI come Med-Gemini può offrire enormi vantaggi per i pazienti e i professionisti della sanità, ma deve essere guidata da principi etici e orientata verso il miglioramento del benessere umano.

Con una collaborazione tra tecnologia e medicina basata sul valore, possiamo sperare in un futuro in cui l’IA diventa un motore di progresso e innovazione nel settore sanitario.

Come ottenere il rimborso del SSN per liste d’attesa sospese: leggi e procedure

Ormai da tanti anni la piaga drammatica delle liste d’attesa troppo lunghe affligge irrimediabilmente il nostro sistema sanitario, costringendo tanti pazienti affetti anche da malattie molto gravi a rivolgersi alla sanità privata per poter effettuare interventi chirurgici ed esami diagnostici.

Il diritto del paziente secondo la legge del 1998

Pochi sanno però che la legge va incontro al cittadino nel caso di mancata osservanza dei tempi massimi previsti per le aziende sanitarie per effettuare una prestazione.

Infatti, nei casi di tempi d’attesa troppo lunghi o di impossibilità di prenotazione, il decreto legislativo 124 del 29 aprile 1998 prevede che il malato possa rivolgersi al privato chiedendo successivamente al SSN il rimborso delle spese effettuate.

Come richiedere il rimborso delle spese

Questo è ciò che dovrebbe sempre accadere quando l’utente si sente rispondere dal Cup che la data per effettuare un esame è molto distante da quella a cui il paziente avrebbe diritto per la patologia di cui si soffre o quando addirittura le liste d’attesa risultano bloccate.

Come ha avuto modo di spiegare recentemente la Federconsumatori, l’assistito può chiedere che la prestazione venga resa nell’ambito dell’attività libero professionale intramoenia e avrà sempre diritto al rimborso delle spese sostenute.

Per poter richiedere il rimborso occorre, secondo quanto previsto dalla normativa in vigore, inviare una apposita richiesta indirizzata al Direttore Generale dell’Azienda di riferimento.

Come presentare la richiesta al Servizio Sanitario Nazionale

Nella richiesta, l’utente dovrà comunicare al Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria Territoriale (AST) che provvederà a richiedere ed effettuare la prestazione in regime di attività libero professionale per poi ottenere il rimborso delle spese sostenute, escluso il costo del ticket che in ogni caso l’utente avrebbe dovuto pagare anche se la prestazione fosse stata eseguita a carico del SSN.

In questo modo il costo dell’attività della libera professione intramoenia sarà a carico dell’azienda sanitaria di appartenenza.

La direttiva 2011/24/UE e il diritto alla mobilità sanitaria

È importante sottolineare che i pazienti hanno anche la possibilità di sfruttare la direttiva 2011/24/UE, recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo n. 38 del 4 marzo 2014, che garantisce il diritto alla mobilità sanitaria all’interno dell’Unione Europea.

Questo permette ai cittadini di ricevere cure mediche in un altro Stato membro e di ottenere il rimborso delle spese sostenute, secondo le regole del paese di residenza.

Come funziona la direttiva 2011/24/UE

La direttiva consente ai pazienti di accedere a cure mediche in un altro Stato membro dell’UE, anche se non è strettamente necessario per motivi di salute immediati. Il paziente può richiedere il rimborso delle spese sostenute per il trattamento ricevuto all’estero, fino all’importo che sarebbe stato coperto dal sistema sanitario nazionale del proprio paese.

Vantaggi della direttiva

Questo approccio offre ai pazienti una maggiore flessibilità nell’accesso alle cure mediche, riducendo i tempi di attesa e consentendo loro di scegliere il luogo e il momento più adatti per ricevere trattamenti specifici.

Leggi e tutela della salute dei cittadini

Le leggi in questione sono state approvate in ossequio ai dettami costituzionali che prevedono l’esercizio del diritto e della tutela della salute dei cittadini.

L’articolo 32 prevede infatti che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Tumore alla prostata le possibili conseguenze di impotenza e incontinenza dopo l’intervento.

Il tumore alla prostata è il più comune tra gli uomini, anche a soli 50 anni; ogni anno, circa 20mila pazienti richiedono una prostatectomia, con il rischio di disfunzione erettile e incontinenza. Tuttavia, a differenza delle protesi mammarie dopo la mastectomia, l’accesso ai dispositivi medici non è garantito come un diritto.

Tumore alla prostata: una realtà diffusa

Il tumore alla prostata è il tipo più comune di cancro tra gli uomini e può insorgere già a 50 anni di età.

Ogni anno, in Italia, si registrano oltre 36.000 nuove diagnosi di questa patologia, che rappresenta una sfida significativa per il sistema sanitario e per gli individui colpiti.

Prostatectomia radicale: un intervento cruciale

La prostatectomia radicale, un’operazione chirurgica che comporta la rimozione totale della ghiandola prostatica, è spesso necessaria per trattare il tumore alla prostata.

Circa 20.000 pazienti all’anno richiedono questo intervento, il quale, se da un lato può salvare la vita, dall’altro può causare effetti collaterali invalidanti come impotenza e incontinenza urinaria.

Soluzioni per i problemi post-operatori

Secondo Carlo Bettocchi, professore associato di Urologia, i principali problemi dopo la prostatectomia sono la disfunzione erettile e l’incontinenza urinaria.

Tuttavia, esistono diverse opzioni di trattamento, che includono terapie mediche, riabilitazione e l’utilizzo di dispositivi protesici come la protesi peniena e lo sfintere urinario artificiale.

Nonostante ciò, l’accesso a tali soluzioni non è uniforme su tutto il territorio nazionale.

Disuguaglianze nell'accesso alle cure

Uno dei maggiori ostacoli nell’accesso alle cure è rappresentato dalla mancanza di inclusione dei dispositivi protesici nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea).

Questo porta a disuguaglianze nell’assistenza sanitaria, con alcuni pazienti che possono accedere alle cure mentre altri no, a seconda della regione in cui risiedono e delle politiche locali.

Necessità di inclusione nei Lea

Secondo Alessandro Palmieri, presidente della Società Italiana di Andrologia, è essenziale includere i dispositivi protesici nei Lea al fine di garantire un accesso equo e omogeneo alle cure per tutti i pazienti affetti da tumore alla prostata.

Questo rappresenterebbe un importante passo avanti nella lotta contro le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria.

Rimborsi e copertura dei costi

Attualmente, il rimborso per i dispositivi protesici varia considerevolmente da regione a regione e non sempre copre i costi in modo completo.

È quindi necessario adeguare i meccanismi di rimborso al fine di garantire un accesso equo e universale alle cure per tutti i pazienti affetti da tumore alla prostata.

Impatto psicologico e sociale

Oltre ai problemi fisici, la disfunzione erettile e l’incontinenza urinaria hanno un impatto significativo sulla qualità di vita e sul benessere psicologico dei pazienti e dei loro partner.

È fondamentale considerare questo aspetto nella gestione dei disturbi post-operatori, garantendo un supporto psicologico adeguato e un’assistenza completa e integrata.

Conclusioni

Il trattamento del tumore alla prostata non si limita alla sola rimozione del tumore, ma deve prendere in considerazione anche gli effetti collaterali dell’intervento chirurgico.

È importante lavorare per garantire un accesso equo e universale alle cure e per ridurre le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria, assicurando che tutti i pazienti abbiano accesso alle migliori opzioni di trattamento disponibili.

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