Intervento senza precedenti al San Camillo

Presso l’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma è stato eseguito un intervento cardiologico mai documentato prima in letteratura: un impianto di TAVI in TAVI su una paziente affetta dalla rarissima Sindrome di Morquio

Un intervento senza precedenti

Un evento di portata storica si è verificato presso l’ospedale San Camillo Forlanini: per la prima volta in letteratura medica è stato eseguito un intervento di TAVI in TAVI, ovvero l’impianto di una nuova bioprotesi aortica all’interno di una precedente bioprotesi danneggiata, tramite accesso dall’arteria femorale. Il caso riguardava una paziente affetta dalla rarissima Sindrome di Morquio, per la quale questa procedura rappresentava l’unica opzione terapeutica possibile.

L’intervento, perfettamente riuscito, è stato eseguito dal dottor Francesco De Felice e dalla dottoressa Diana Chin dell’équipe di Cardiologia interventistica.

Che cos’è la Sindrome di Morquio

La Sindrome di Morquio, o mucopolisaccaridosi di tipo IV, è una rara malattia genetica che colpisce circa una persona su 300.000. È causata dall’accumulo di glicosaminoglicani (zuccheri complessi) nei tessuti del corpo, portando a gravi problemi muscoloscheletrici, tra cui bassa statura, e a disfunzioni degli organi vitali come cuore e polmoni.

Nel caso specifico, la paziente – di soli 53 anni – era già stata sottoposta a numerosi interventi ortopedici e, nel 2017, aveva ricevuto un primo impianto TAVI per trattare una stenosi aortica severa. Nel 2023, a seguito di un peggioramento, era stata trattata con una valvuloplastica aortica. Tuttavia, le sue condizioni cliniche la rendevano ad altissimo rischio per un nuovo intervento chirurgico o un ulteriore TAVI.

Il ricovero d’urgenza al San Camillo

A seguito di un improvviso peggioramento, la paziente è stata ricoverata al pronto soccorso del San Camillo per un episodio di scompenso cardiaco acuto. La dottoressa Vania Chianta, cardiologa, ha effettuato una rapida diagnosi ecocardiografica, rilevando la disfunzione della protesi valvolare aortica con grave stenosi e insufficienza cardiaca.

Stabilizzata la paziente, la radiologia diretta dal dottor Vitaliano Buffa ha confermato, mediante una TAC, la fattibilità tecnica dell’intervento TAVI in TAVI tramite accesso transfemorale. L’Heart Team multidisciplinare ha unanimemente considerato questa l’unica strada percorribile, poiché un trattamento medico isolato sarebbe stato inefficace.

Un lavoro di squadra altamente specializzato

L’intervento è stato eseguito dall’équipe dell’Unità operativa semplice di Cardiologia interventistica, parte dell’Unità operativa complessa di Cardiologia diretta dal professor Domenico Gabrielli. Il supporto anestesiologico è stato fornito dalla UOC di Cardioanestesia, guidata dal professor Elio D’Avino.

Per minimizzare i rischi, la procedura è stata condotta in anestesia locale con accesso transfemorale, sotto costante monitoraggio da parte del dottor Davide Cristofani. Fondamentale il contributo del personale infermieristico (Dario Lolli, Diego Roviti, Mauro Ruscito) e tecnico (Sabrina Saraceni). La procedura si è conclusa con successo e senza complicanze, e la paziente è stata assistita dall’équipe dell’UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica) fino alla dimissione, avvenuta dopo pochi giorni.

Una procedura rara e complessa

Dal San Camillo sottolineano che, sebbene la sostituzione percutanea della valvola aortica (TAVI) sia oggi sempre più diffusa, gli interventi di TAVI in TAVI restano complessi e rari, richiedendo alta specializzazione tecnica e una pianificazione meticolosa.

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Servono 14 mesi per accedere ai farmaci oncologici innovativi

Italia sul podio per disponibilità di farmaci innovativi (129 su 167), ma la Germania resta in testa per velocità: solo 93 giorni per l’autorizzazione.

Italia seconda in Europa

La disponibilità complessiva dei farmaci innovativi in Italia si attesta al 77%, con 129 prodotti su 167 approvati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).

Questo dato posiziona l’Italia al secondo posto in Europa, subito dopo la Germania, che ne ha resi disponibili 147.

Tuttavia, nonostante l’alta disponibilità, i tempi di accesso restano critici: per ottenere l’effettiva rimborsabilità passano in media circa 14 mesi, sia per i farmaci oncologici che per quelli orfani destinati alle malattie rare.

Lo studio Patients W.A.I.T. 2023

A fotografare lo stato dell’arte è lo studio Patients W.A.I.T. 2023 (Waiting to Access Innovative Therapies), condotto da Iqvia in collaborazione con Efpia (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations).

Si tratta della più ampia indagine europea sulla disponibilità dei farmaci innovativi e sui tempi di accesso nei diversi Paesi.

Il report sottolinea: “L’Italia è uno dei Paesi europei più virtuosi nell’accesso ai farmaci innovativi, ma esistono ulteriori margini di miglioramento nell’accelerazione e nello snellimento dei processi per l’immissione nelle liste di rimborsabilità, sia a livello nazionale che regionale”.

Copertura dello studio e classifiche europee

Lo studio, attivo dal 2004, ha analizzato la disponibilità di 167 farmaci approvati da EMA tra il 2019 e il 2022, suddivisi in quattro categorie: oncologici, orfani, orfani non oncologici e combinazioni terapeutiche.

Il campione comprende 36 Paesi (27 UE e 9 extra UE), offrendo una panoramica completa della situazione europea.

L’Italia si distingue in particolare per la disponibilità di farmaci orfani: è seconda in Europa con 45 farmaci su 63, dietro solo alla Germania (56).

Anche per i farmaci oncologici l’Italia mostra buoni risultati, collocandosi al quarto posto con 40 prodotti su 48, preceduta da Germania, Svizzera e Austria.

Tempi di accesso: miglioramenti, ma ancora lunghi

Nonostante i progressi, i tempi medi di accesso ai farmaci restano lunghi.

Per i farmaci orfani, l’Italia impiega in media 14 mesi (431 giorni) per inserirli nelle liste di rimborsabilità, contro i soli 96 giorni della Germania.

Per quelli oncologici, il tempo medio è simile: 417 giorni, che collocano l’Italia al dodicesimo posto, ben lontano dai 93 giorni della Germania e dai 134 della Danimarca.

Tuttavia, rispetto alla media dei Paesi UE, l’Italia registra tempi di accesso più rapidi di circa 3-4 mesi, segno di un miglioramento rispetto al passato.

Disomogeneità e restrizioni: le sfide da superare

Uno dei principali ostacoli resta la parziale disponibilità alla rimborsabilità e le disuguaglianze regionali.

Circa il 20% dei farmaci disponibili in Italia presenta restrizioni parziali alla rimborsabilità.

Sebbene questa quota sia inferiore rispetto a Paesi come Spagna (52%) e Francia (35%), rappresenta comunque un elemento critico.

Va inoltre considerato che i tempi di accesso rilevati nello studio riguardano il livello nazionale e non tengono conto dei ritardi ulteriori che possono verificarsi nelle singole Regioni.

Conclusioni: un’Italia in crescita, ma ancora con margini di miglioramento

In conclusione, lo studio conferma l’Italia sul podio europeo per la disponibilità di farmaci innovativi.

Anche i pazienti avanzano nell’accesso alle terapie, ma persistono barriere importanti come i lunghi tempi di approvazione e le disuguaglianze territoriali.

Superare questi ostacoli sarà fondamentale per garantire un accesso equo e tempestivo alle cure più avanzate.

Scoperta la cellula ingegnere che crea nuove arterie dopo l’infarto

Dopo un infarto, il cuore può tentare di autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni, ma spesso questi non sono sufficienti. Uno studio coordinato da Elena Cano ha identificato una cellula “primordiale” capace di creare arterie, offrendo una nuova speranza per migliorare la circolazione e limitare i danni cardiaci post-infarto.

Il problema della riparazione cardiaca dopo un infarto

Dopo un infarto, le cellule della zona colpita dall’ischemia prolungata muoiono a causa della mancanza di ossigeno e soprattutto di sangue, che normalmente fluisce attraverso piccoli vasi.

In alcuni casi, il miocardio riesce ad autoripararsi sviluppando nuovi vasi sanguigni attorno alla zona danneggiata, ma spesso questi non sono sufficienti.

Ci vorrebbero arterie più grandi e potenti per garantire un nutrimento adeguato al cuore.

Questo è il sogno di molti ricercatori, e grazie a uno studio coordinato da Elena Cano, c’è speranza che diventi realtà.

Le cellule di "punta"

Gli studiosi hanno identificato un particolare tipo di cellula, chiamata “pre-arteriosa”, che svolge un ruolo chiave nella formazione di nuovi vasi sanguigni.

Queste cellule sono considerate precursori di nuove arterie, capaci di rispondere a segnali ambientali e guidare la crescita dei vasi in direzioni specifiche.

Studi condotti su animali hanno rivelato che queste cellule erano già indirizzate a svilupparsi come arterie, contraddicendo l’idea che le arterie si formassero solo in risposta al fluido che le attraversa.

Questo studio ha dimostrato che le cellule pre-arteriose acquisiscono le caratteristiche delle arterie prima ancora che il sangue inizia a fluire al loro interno.

Meccanismi di rigenerazione cardiaca

I ricercatori hanno confrontato il comportamento delle cellule pre-arteriose negli animali e negli esseri umani, utilizzando tessuti cardiaci embrionali umani.

Hanno scoperto che il meccanismo di formazione delle nuove arterie è conservato non solo durante lo sviluppo embrionale, ma anche dopo un infarto.

Questo meccanismo potrebbe essere la chiave per stimolare la rigenerazione delle arterie coronariche, aprendo nuove possibilità terapeutiche per limitare i danni al miocardio e migliorare la circolazione sanguigna nell’area colpita dall’ischemia.

Speranze per il futuro

Nonostante i grandi progressi ottenuti nel ridurre l’estensione degli infarti tecniche attraverso come l’angioplastica, i tentativi di rigenerare il muscolo cardiaco danneggiato hanno avuto esiti deludenti.

La sfida principale è garantire che le cellule staminali possano attaccarsi nel tessuto cicatriziale e ricevere il giusto apporto di sangue e ossigeno.

Le cellule pre-arteriose presenti in questo studio potrebbero essere un passaggio cruciale per la creazione di nuovi vasi sanguigni all’interno del tessuto danneggiato, facilitando così la rigenerazione del muscolo cardiaco e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Fonte:

Prime evidenze dal registro delle protesi mammarie

 

Il registro nazionale delle protesi mammarie ha fornito i primi dati rilevanti sugli impianti in Italia, migliorando la sicurezza dei pazienti e ottimizzando la gestione clinica. Grazie a un monitoraggio rigoroso, questo strumento offre benefici per la salute pubblica e l’uso efficiente delle risorse sanitarie.

Statistiche sugli impianti di protesi mammarie in Italia

Dal 1° agosto dell’anno scorso al 30 giugno 2024, sono state oltre 500 le strutture sanitarie che hanno caricato almeno una volta le informazioni relative all’impianto di protesi mammarie.

Durante questo periodo, 1.207 chirurghi sono stati coinvolti in oltre 22.500 interventi, di cui più di 6.500 eseguiti in strutture pubbliche e 15.772 in strutture private.

Complessivamente, sono state impiantate più di 37.000 protesi mammarie, con oltre 8.000 interventi nel pubblico e più di 28.000 nel privato, coinvolgendo oltre 21.800 pazienti.

Il Registro Nazionale delle Protesi Mammarie

I dati provengono dal Registro Nazionale delle Protesi Mammarie, istituito per monitorare l’attività clinica, prevenire complicanze, migliorare la gestione degli effetti indesiderati e rintracciare tempestivamente i pazienti se necessario.

Avviato a pieno regime nel 2023, il registro offre la possibilità di un controllo continuo a scopo di ricerca scientifica e clinica.

Nel lungo termine, si prevede che diventi uno strumento utile per la programmazione dei dispositivi medici impiantabili.

La storia dei Registri sulle Protesi Mammarie

Il registro nazionale è stato istituito presso il Ministero della Salute insieme ai registri regionali e provinciali, grazie alla legge 86 del 2012.

La necessità di raccogliere informazioni su questi dispositivi nasce dall’importanza che il mondo scientifico e le istituzioni attribuiscono alle protesi mammarie, classificate nella più alta categoria di rischio (classe III) dal decreto legislativo 304 del 2004.

La legge è stata approvata a seguito di problemi riscontrati in Europa, tra cui il caso delle protesi PIP riempite di silicone non conforme.

Obbligo di registrazione degli interventi

Tutte le Regioni e Province autonome italiane hanno istituito un proprio registro e, di conseguenza, tutti i chirurghi che impiantano o rimuovono protesi mammarie devono registrare l’intervento entro tre giorni dalla procedura.

Le strutture sanitarie che omettono la raccolta e trasmissione dei dati sono soggette a sanzioni amministrative.

Inoltre, i distributori di protesi sono obbligati a registrare mensilmente ogni dispositivo venduto in Italia.

Il primato italiano nel Registro delle Protesi Mammarie

L’Italia vanta un primato globale per il suo registro delle protesi mammarie grazie all’obbligatorietà della trasmissione dei dati e alla gestione da parte di un’istituzione governativa.

In altri Paesi, come Francia, Svezia, Olanda, Regno Unito e Stati Uniti, i registri sono volontari e raggiungono una copertura variabile.

Il registro italiano è considerato un esempio di best practice, poiché consente di monitorare la sicurezza e l’efficacia dei dispositivi medici e di migliorare la qualità delle cure.

Estensione del modello ad altri dispositivi medici

Il monitoraggio delle protesi mammarie non solo tutela la salute dei pazienti, ma può anche contribuire a contenere la spesa pubblica.

Solo nel 2023, sono stati spesi oltre 5 miliardi di euro per dispositivi medici.

Il modello del registro potrebbe essere esteso ad altre categorie di impianti, come quelli cardiologici e ortopedici, che rappresentano circa l’84% della spesa per dispositivi ad alto rischio.

Analisi dei dati sulle sostituzioni

Per conoscere la durata media di vita di una protesi mammaria sarà necessario attendere gli interventi di sostituzione o rimozione.

Tuttavia, il Ministero della Salute ha iniziato a monitorare i tempi medi di revisione degli impianti.

I dati mostrano che i tempi di revisione sono inferiori nei pazienti sottoposti a procedure ricostruttive, probabilmente a causa di trattamenti come la chemioterapia o la radioterapia, che influenzano gli esiti chirurgici.

Primo trapianto in Italia di cuore e fegato salva donna di 38 anni

Una donna di 38 anni, affetta da una grave cardiopatia congenita, ha subito un intervento pionieristico presso l’ospedale Molinette di Torino. Per la prima volta in Italia, è stato eseguito un trapianto di blocco multiorgano cuore-fegato, salvandole la vita. Grazie alla perfetta sincronizzazione di un’équipe multidisciplinare e alla donazione di un organo compatibile, l’intervento rappresenta un traguardo medico senza precedenti.

Un caso di cardiopatia congenita grave

La sua unica speranza di sopravvivenza era un trapianto, e nei giorni scorsi, presso l’ospedale Molinette di Torino, è stato eseguito per la prima volta in Italia un trapianto di blocco multiorgano cuore-fegato.

La paziente, originaria di Roma, a causa della malattia cardiaca aveva sviluppato nel tempo un danno sempre più grave al fegato.

Per questo motivo, era stata inserita nella lista nazionale dei trapianti urgenti, che ha consentito di trovare in breve tempo un donatore compatibile per entrambi gli organi.

Il trapianto innovativo

L’eccezionalità dell’intervento, eseguito dall’équipe multidisciplinare trapianti di Torino, risiede nell’aver mantenuto la normale connessione del cuore con il fegato, trapiantando il blocco come un unico organo.

Questo approccio ha permesso di ridurre al minimo i tempi di sofferenza ischemica degli organi, migliorando significativamente la loro funzione subito dopo il trapianto.

Tuttavia, la complessità dell’intervento ha richiesto una perfetta collaborazione tra i vari specialisti coinvolti.

Da un lato, il team di specialisti lombardi lavorava sul donatore, mentre dall’altro, i cardiochirurghi e epatochirurghi torinesi preparavano la paziente a ricevere il blocco cuore-fegato.

L'equipe chirurgica

Il team chirurgico è stato guidato dal professor Mauro Rinaldi, direttore della Cardiochirurgia delle Molinette, insieme al dottor Carlo Pace Napoleone, direttore della Cardiochirurgia Pediatrica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, al professor Massimo Boffini e alla dottoressa Erika Simonato.

Durante l’intervento, il cuore malato è stato isolato e rimosso.

Contemporaneamente, il professor Renato Romagnoli, direttore del Dipartimento Trapianti e Chirurgia del Fegato, con il supporto del dottor Paolo Strignano, rimuovevano il fegato malato. Il team di anestesisti, composto dal dottor Alberto Orsello, dalla dottoressa Francesca Momigliano e dal dottor Angelo Panio, ha fornito supporto costante durante l’operazione.

Un intervento complesso

Durante l’intervento, la paziente è stata mantenuta in vita grazie alla circolazione extracorporea assicurata dalla macchina cuore-polmoni.

Quando i chirurghi hanno completato il collegamento vascolare degli organi trapiantati, sia il nuovo cuore che il nuovo fegato hanno ripreso immediatamente a funzionare.

L’intera procedura ha avuto una durata superiore alle dodici ore e si è conclusa con successo.

Il decorso post-operatorio

Attualmente, la paziente è sveglia, lucida e respira autonomamente.

Il dottor Giovanni La Valle, direttore generale della Città della Salute di Torino, ha commentato l’eccezionalità del trapianto: “Questo intervento innovativo conferma l’eccellenza a livello internazionale della nostra Azienda Ospedaliero-Universitaria. La consolidata collaborazione tra i vari programmi di trapianto attivi in Azienda, già abituati a eseguire trapianti combinati, ha permesso di raggiungere questo nuovo importante traguardo, offrendo cure sempre più efficaci per pazienti gravemente malati. Il tutto è stato possibile grazie alla donazione di organi e sangue, essenziali per interventi di tale portata.”

Fonte:

Primo intervento robotico transcontinentale eseguito da un chirurgo italiano

Per la prima volta nella storia, è stato eseguito un intervento transcontinentale di chirurgia robotica a distanza per l’asportazione di un tumore al rene. La notizia è stata diffusa dalla Fondazione Puigvent di Barcellona, che ha comunicato la conclusione positiva dell’operazione.

Il chirurgo e l'intervento

Il chirurgo che ha condotto l’intervento con successo è Alberto Breda, un medico italiano primario di Urologia Oncologica e membro dell’équipe chirurgica dei Trapianti Renali della fondazione spagnola.

Breda ha operato a distanza un paziente situato a Pechino, in Cina, mentre si trovava all’auditorium di Bordeaux per partecipare alla 21esima riunione annuale della Società Europea di Urologia (Eau), di cui è presidente.

Dettagli dell'operazione

Il paziente, un uomo di 37 anni con un tumore al rene di 3,5 centimetri, era ricoverato presso l’Ospedale Generale Pla di Pechino.

L’intervento è avvenuto con l’ausilio del sistema robotico Edge, con cui Breda ha controllato i bracci robotici a distanza da una console.

Nonostante la distanza, il tempo di ritardo nella trasmissione dei comandi è stato di soli 132 millisecondi.

Il paziente è stato dimesso il giorno successivo e sta proseguendo la convalescenza.

Sfide tecnologiche e il ruolo delle reti di telecomunicazioni

Una delle maggiori sfide riscontrate nell’intervento è stata la latenza causata dalla lunga distanza.

Come sottolineato dalla Fondazione Puigvent, lo sviluppo delle reti di telecomunicazioni, in particolare delle reti 5G e in fibra ottica, sarà cruciale per il futuro della telechirurgia.

L’evoluzione e l’adattamento dei sistemi robotici rappresentano un altro fattore chiave per migliorare l’efficienza di questo tipo di operazioni.

Commento del dottor Breda

Alla fine dell’operazione, il dottor Breda ha espresso grande soddisfazione per il risultato ottenuto, definendo l’intervento un momento storico.

Ha inoltre evidenziato l’importanza della collaborazione internazionale e ha sottolineato come questo traguardo dimostri la diversità nella pratica della medicina moderna.

Dati sanitari finlandesi accessibili in Spagna

A partire dal 23 settembre, i viaggiatori finlandesi che necessitano di assistenza medica in Spagna potranno beneficiare di un nuovo servizio che facilita l’accesso ai loro dati sanitari. Grazie alla collaborazione con i servizi Kanta, gli operatori sanitari di alcune regioni spagnole possono ora visualizzare informazioni essenziali sui pazienti, come prescrizioni, allergie e diagnosi, previa autorizzazione tramite MyKanta.

Disponibilità del servizio nelle principali destinazioni turistiche

Il servizio è attualmente attivo in alcune aree della Spagna, tra cui destinazioni turistiche molto frequentate come la Costa del Sol, le Isole Canarie, la Catalogna e l’area di Madrid.

Questo permette ai cittadini finlandesi di ricevere un’assistenza sanitaria semplificata durante i loro soggiorni all’estero.

Tuttavia, è importante sottolineare che solo i dati essenziali verranno condivisi con gli operatori sanitari, e l’accesso completo alle cartelle cliniche sarà possibile solo con il consenso del paziente.

Un sistema già in uso in altri Paesi Europei

Questa iniziativa segue un modello già implementato in Estonia, che nel giugno 2024 è diventato il primo Paese dell’Unione Europea a permettere l’accesso ai dati dei pazienti finlandesi.

Fino ad oggi, circa 12.000 viaggiatori finlandesi hanno autorizzato la condivisione dei propri dati sanitari con gli operatori sanitari estoni tramite MyKanta.

Prescrizioni elettroniche validate a livello internazionale

Dal 2019, le prescrizioni elettroniche finlandesi sono valide anche all’estero, facilitando l’acquisto di farmaci per i cittadini finlandesi durante i loro viaggi.

Paesi come l’Estonia e la Spagna, tra le mete più visitate dai turisti finlandesi, sono tra i primi a beneficiare di questa innovazione, che contribuisce a rendere i viaggi più sicuri e confortevoli.

Miglioramenti nell'assistenza sanitaria transfrontaliera

La possibilità di condividere dati sanitari oltre confine rappresenta un significativo passo avanti per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria ai viaggiatori.

In futuro, i professionisti sanitari finlandesi potranno accedere ai dati sanitari provenienti da altri Paesi europei, rendendo più agevole il trattamento dei pazienti stranieri.

Sicurezza dei pazienti e maggiore efficienza

“La condivisione transfrontaliera dei dati dei pazienti semplifica il trattamento per chi viaggia o si trasferisce in Finlandia dall’estero”, afferma Paavo Kauranne, product owner dei servizi Kanta presso Kela.

Un riepilogo tradotto e chiaro delle informazioni mediche del paziente fornisce ai professionisti sanitari una panoramica completa, migliorando le decisioni terapeutiche e aumentando la sicurezza dei pazienti.

Espansione del servizio e prospettive future

Con l’espansione di questo servizio in Europa, si prevede un miglioramento generale della qualità dell’assistenza sanitaria.

L’accesso più rapido a informazioni mediche essenziali contribuirà a trattamenti più sicuri ed efficienti per tutti i pazienti, garantendo un’assistenza sanitaria di qualità superiore in tutto il continente.

Cause e trattamento della scoliosi nell’adolescenza

La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale caratterizzata da una curvatura tridimensionale che si sviluppa nei tre piani dello spazio: frontale, laterale e orizzontale. Queste alterazioni tridimensionali influenzano sia l’estetica che la postura del corpo. Anche piccole asimmetrie corporee possono rappresentare segnali di una scoliosi in fase iniziale, per cui è importante prestare attenzione.

Evoluzione e trattamento

Senza un trattamento adeguato, la scoliosi può progredire nel tempo, fino a richiedere un intervento chirurgico nei casi più gravi.

Riconoscere la scoliosi nelle fasi iniziali consente di intervenire con un approccio conservativo, evitando così la chirurgia.

Questo tipo di intervento prevede l’uso di corsetti e di esercizi specifici, adattati alle esigenze del singolo paziente e alla particolare curvatura della sua scoliosi.

Cause della scoliosi nei bambini e adolescenti

Secondo la dott.ssa Maria Petruzzi, Ortopedico Vertebrale presso Humanitas Mater Domini, le cause della scoliosi in età evolutiva possono essere suddivise in due categorie principali:

  • Scoliosi idiopatica: rappresenta circa l’80% dei casi. La sua causa esatta non è ancora nota, ma si ritiene che sia multifattoriale.
  • Scoliosi secondaria: riguarda il 20% dei casi ed è legata a patologie preesistenti come malformazioni vertebrali, malattie neurologiche o sindromi congenite.

La scoliosi idiopatica può manifestarsi in diversi momenti della vita, soprattutto durante fasi di rapida crescita, come tra i 6 e 24 mesi, tra i 5 e gli 8 anni, e durante la pubertà.

Dopo questi periodi, l’evoluzione della scoliosi tende a rallentare fino a stabilizzarsi al termine della crescita ossea.

Diagnosi della scoliosi

La diagnosi di scoliosi avviene durante una visita ortopedica, quando vengono rilevate delle asimmetrie corporee sospette.

In questi casi, lo specialista richiede una radiografia della colonna vertebrale in posizione eretta (ortostasi) per determinare la presenza di scoliosi o di un semplice atteggiamento scoliotico.

È importante distinguere tra scoliosi e atteggiamento scoliotico.

Quest’ultimo può simulare la scoliosi, ma non presenta la rotazione delle vertebre ed è meno grave poiché non tende a peggiorare nel tempo, a differenza della scoliosi vera e propria.

I corsetti ortopedici

I corsetti sono dispositivi ortopedici utilizzati per guidare la crescita della colonna vertebrale nella direzione corretta.

Essi aiutano a ridurre la curvatura della scoliosi e a migliorare l’estetica del corpo.

Esistono vari tipi di corsetti, e la scelta del tipo più adatto dipende da fattori come l’età del paziente, il grado di maturazione ossea, l’entità e la rigidità della curva scoliotica.

Efficacia dei corsetti nel trattamento della scoliosi

I primi corsetti avevano la funzione di mantenere stabile la curvatura della scoliosi, ma senza correggerla.

Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato l’efficacia dei nuovi corsetti non solo nel mantenimento, ma anche nella correzione della scoliosi.

Se la scoliosi viene diagnosticata precocemente, è possibile ridurre significativamente la curvatura, soprattutto se questa è ancora flessibile al momento della diagnosi.

Di conseguenza, una diagnosi tempestiva è essenziale per evitare l’aggravarsi della condizione.

Decifrato il codice genetico autismo. Angsa e Fondazione Autismo fanno chiarezza

Un team di ricerca ha sviluppato un sistema basato sull’intelligenza artificiale capace di identificare i marcatori genetici dell’autismo. I media hanno descritto questa innovazione come una “svolta nella diagnosi,” ma Angsa e la Fondazione Italiana Autismo invitano alla cautela.

Una visione completa dell'autismo

Trattare l’autismo come una condizione monolitica, riducendolo a una questione genetica risolvibile con un semplice test, non rende giustizia alla complessità di questa condizione.

È fondamentale evitare queste semplificazioni e adottare una visione più completa e rispettosa dell’autismo e dei diversi bisogni.

Questo è il messaggio che l’associazione Angsa, che riunisce genitori di persone con autismo, e la Fondazione Italiana Autismo vogliono trasmettere in risposta a una recente notizia pubblicata da alcuni dei principali quotidiani nazionali.

La notizia riguarda una presunta “svolta” nella diagnosi precoce dell’autismo, basata su una nuova tecnologia sviluppata da un team di ricerca co-diretto da Gustavo K. Rohde.

La complessità della diagnosi dell'autismo

La notizia sembra promettere mari e monti, suggerendo che presto potremmo essere in grado di diagnosticare l’autismo con una precisione straordinaria grazie a un’innovativa intelligenza artificiale.

Ma c’è un problema: la realtà è molto più complessa”, spiegano le associazioni.

Per chiarire la questione, Angsa e la Fondazione Italiana Autismo lasciano la parola al professor David Vagni, ricercatore del Cnr.

Il contributo del Professor David Vagni

Il focus dello studio in questione non è sul codice genetico dell’autismo, ma sulla capacità di identificare specifiche mutazioni genetiche, come la delezione o duplicazione in 16p11.2, utilizzando una tecnica di imaging cerebrale avanzata chiamata morfometria basata sul trasporto (TBM)”, spiega Vagni.

Tuttavia, queste mutazioni geneticamente rilevabili rappresentano solo una piccola frazione dei casi di autismo (circa il 20%) e le mutazioni in 16p11.2 solo lo 0,5-1%. Inoltre, tra le persone con la mutazione 16p11.2, solo il 20-30% è effettivamente autistico.

Parlare di “svolta” nella diagnosi dell’autismo basandosi su questi numeri è, quindi, quantomeno fuorviante, conclude Vagni.

Le critiche alla semplificazione mediatica

Per Angsa e la Fondazione Italiana Autismo, “questo tipo di semplificazione mediatica non solo è imprecisa, ma può essere dannosa”.

Marco Bertelli della Fondazione Italiana Autismo commenta: “L’unico dato interessante della ricerca è la capacità dell’IA di gestire perfettamente il confronto statistico di dettagli all’interno di una massa dati enorme, come quella che si associa a numerose immagini tridimensionali del sistema nervoso centrale e ai loro correlati genetici e comportamentali.

I risultati di questo studio indicano che, se usata con saggezza e cautela, la capacità statistica dell’IA può aiutarci a fare ordine nell’attuale eterogeneità delle condizioni raggruppate sotto la denominazione di disturbo dello spettro autistico e permettere di conseguenza diagnosi e interventi di precisione”.

Conclusione: Progresso e Verità

“La ricerca scientifica deve continuare a progredire, certo, ma non a scapito della verità e della comprensione umana”, conclude Giovanni Marino, presidente di Angsa.

Pillola 3D, farmaci combinati in un’unica dose

I ricercatori australiani hanno sviluppato una nuova applicazione della tecnologia di stampa 3D per creare una ‘poli-pillola’ che combina più farmaci in un’unica compressa. Questa innovazione mira a semplificare la vita di chi deve assumere più farmaci ogni giorno, riducendo il rischio di errori di dosaggio e migliorando l’accesso alle cure.

La stampa 3D al servizio della medicina

I ricercatori australiani hanno fatto un significativo passo avanti nella medicina, utilizzando la tecnologia di stampa 3D, comunemente impiegata per la produzione di giocattoli, calchi dentali e ricambi auto, per creare una ‘poli-pillola’.

Questa innovativa soluzione combina più farmaci in un’unica compressa, semplificando la vita di coloro che devono assumere diversi farmaci ogni giorno.

Il problema della politerapia negli anziani

Con l’avanzare dell’età, molte persone si trovano a dover assumere più farmaci ogni giorno, aumentando il rischio di sottodosaggi o overdose.

Questo problema è destinato a crescere con l’invecchiare della popolazione.

Gli studiosi dell’Università del Queensland hanno sviluppato una soluzione: l’uso di stampanti 3D per produrre pillole su misura per ciascun paziente, combinando i farmaci in un polimero biocompatibile che permette il rilascio controllato nell’organismo.

Vantaggi della poli-pillola personalizzata

Le poli-pillole sono prodotte uno strato alla volta, e i farmaci vengono disciolti e combinati con altri ingredienti per migliorare l’assorbimento nello stomaco.

Questo sistema permette di includere vari farmaci in una sola pillola, da assumere una volta al giorno, riducendo così il rischio di errori di dosaggio. “Si possono includere farmaci differenti in una pillola, da prendere una sola volta al giorno, riducendo così la probabilità di overdose o di sottodose,” scrive il professor Amirali Polat della Scuola di Farmacia sul sito dell’università.

Soluzioni per bambini e persone con disabilità visive

I farmaci stampati in 3D potrebbero essere particolarmente utili per i bambini, permettendo la creazione di pillole più piccole e ‘attraenti’, magari con forme o colori diversi.

Anche le persone non vedenti o ipovedenti trarrebbero beneficio da questa tecnologia, grazie alla possibilità di cambiare i colori per rendere le pillole più identificabili, aggiungere simboli come il sole e la luna per distinguere le dosi del mattino e della sera, o persino stampare in braille sulla pillola per facilitare il riconoscimento.

Impatto sulle comunità remote

L’uso della stampa 3D potrebbe rappresentare un grande vantaggio per le comunità remote, dove spesso si registrano carenze di medicinali o ritardi nelle consegne. “Se vi è la possibilità di produrle dove il farmacista può farlo sul posto, si potrà offrire migliore assistenza sanitaria in quelle comunità,” conclude Polat. Questo approccio potrebbe rivoluzionare l’accesso ai farmaci e migliorare notevolmente la qualità delle cure in zone isolate.

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